sabato 9 febbraio 2013

“Beppe Grillo ha ucciso mio padre, mia madre e mio fratello. E non vuole parlarmi”

Non tutti sanno che Grillo per una bravata ha causato la morte di una intera famiglia, eccetto per la più piccola, Cristina,  che ha sempre rifiutato d'incontrare dopo  il  tragico avvenimento.

Grillo, nei fatti (a parole son tutti bravi), non ha mai voluto prendere responsabilità per quanto accaduto, nè si è mai preso carico del futuro della bambina alla quale ha tolto la famiglia, nè si è mai preoccupato di starle vicino in qualche modo. Già che era andato a chiedere scusa ai nonni della piccola, era evidentemente stato abbastanza. Certo, dopo che ai funerali neanche ci era andato, e solo mesi dopo, quando fu rintracciato dalla zia dell'unica sopravvissuta.

E negli anni ha tentato in tutti i modi di sviare sempre l'attenzione dalla faccenda, non parlandone mai e sempre censurandosi dietro un "No Comment".

Non solo, poco tempo dopo, ha anche cercato di distruggere la vita di un giovane lavoratore, non certo un benestante, un portiere (di una portineria non un calciatore, precisiamo per i grillini), pretendendo da esso un mutuo ventennale per il pagamento di uno spettacolo andato male e con pochi biglietti venduti. (Leggi qui, qui e qui)
Grillo non si è fatto scrupoli e a costo di segnare la sua vita per sempre ha preteso un pagamento esorbitante e ingiustificato. (Fortunatamente il giovane è stato aiutato in tutti questi anni dai suoi compagni di sezione altrimenti la sua vita sarebbe stata incatenata e imprigionata per anni mentre lui invecchiava venendogli precluso magari persino l'accesso ad altri prestiti, per esempio per una casa, che si sa le banche non te li regalano di certo i soldi, e mutui multipli, specialmente se sei un poveraccio da 1000 euro al mese).

Ecco che razza di persona è Beppe Grillo.

Qualcuno dice che questa sia macchina del fango. 
Bene, se di fango si tratta, Grillo se lo  merita tutto.
Non solo perchè ha voluto, di fatto (che ne sia consapevole o meno), con le sue azioni distruggere la vita di queste due persone, ma anche perchè con l'inganno e il concorso di Casaleggio sta tentando di distruggere ulteriormente la vita degli italiani e data l'ingenuità di molti, probabilmente riuscirà nel suo intento.
E tutto questo solo per preservare o aumentare il suo sporco lucro.

Cosa non si fa per denaro!

Ma adesso siamo sotto elezioni, chissà, magari improvvisamente a Grillo verrà voglia d'incontrare la non più giovane Cristina, magari circondato da videocamere, proprio il 23 o 24 febbraio, o forse anche senza stare sotto i riflettori, così potrà poi più tardi andare in giro a vantarsi di sapersi assumere le sue responsabilità ma senza secondi fini! 
Che bella figura farebbe!

Peccato che una persona come si deve la bella figura la dovrebbe fare tutti i giorni della sua vita e solo questo dimostrebbe incontrovertibilmente il suo valore, le sue virtù e la sua onestà, questa sarebbe la sola vera prova di autentica sincerità, ma sono cose che a Grillo sono evidentemente sempre mancate.

La bella figura per 30 anni ha preferito non farla. 

In tutto ciò i grillini hanno già iniziato a dire sulla rete che Cristina è una venduta. 
Tanto che gli importa a loro: non è la loro famiglia che è stata uccisa dall'incoscienza del grande capo.

05/02/2013 

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Lettera dal passato “Signor Grillo, le debbo parlare”

di Chiara Bruschi
31 anni fa, un tragico incidente cambiava la vita al politico di oggi




(foto di Andrea Centonze)

Oggi, la vittima più segnata da quel dolore si rivolge all'uomo

«Non cerco nulla, se non la verità. Mi rifiuto di essere strumentalizzata da una politica in cui non mi riconosco, e dopo questa intervista non intendo tornare sull’argomento, quindi prego giornalisti e fotografi di non cercarmi più. Chiedo solo di incontrare il signor Grillo. È un gesto che devo a me stessa, ma anche ai miei genitori e a mio fratello, che non possono più parlare: lo faccio io a nome loro. Molte volte mi sono chiesta che cosa proverei ad averlo davanti a me, di persona, per chiedergli di quel giorno. Fra tutti quelli che in questo periodo sentono continuamente parlare di lui e vedono la sua faccia e leggono ovunque le sue parole ci sono anche io, e lui dovrebbe ricordarselo, e dovrebbe capire l’effetto che mi fa. Ogni giorno penso a come sarebbe la mia vita se i miei genitori e mio fratello fossero ancora con me».

Il 7 dicembre 1981, Beppe Grillo è a Limone Piemonte, ospite dei Giberti. Renzo, suo vecchio amico, la moglie Rossana e i figli Francesco, 9 anni, e Cristina, 7. Dopo pranzo si decide di andare a godersi il sole, per un paio d'ore, su in quota, al Duemila, una baita raggiunta da una strada stretta e non asfaltata. Tutti salgono sulla Chevrolet di Grillo, tutti tranne Cristina, che insiste per restare a vedere un cartone a casa di un'amica. Quasi a destinazione, dietro una curva, il sole illumina un lungo lastrone di ghiaccio. L’auto slitta all’indietro, diventa ingovernabile, urta una roccia, si gira, cade con il muso nel burrone. All’ultimo momento Grillo riesce a spalancare la portiera e a buttarsi. Per i tre Giberti non c’è niente da fare. Il comico verrà infine condannato per omicidio colposo, e per questo non si candiderà, sulla base del regolamento del Movimento 5 Stelle che esclude i condannati.
Oggi Cristina ha un altro cognome: quello del marito della sorella della madre, che la adottò dopo la tragedia. È diventata madre, ha 38 anni, fa volontariato per l’infanzia. Affronta l’intervista divisa tra il bisogno di verità e la ritrosia naturale. «Non amo parlare di me, forse la vita mi ha resa introversa. Ma oggi sono matura, ho fatto i conti con il passato e ho trovato il coraggio di guardare indietro».

Cristina, perché proprio oggi, alla vigilia delle elezioni, dopo più di trent’anni di silenzio?

«Gliel’ho detto: il signor Grillo è una presenza pubblica come mai prima, e come mai prima è forte la mia esigenza di confrontarmi con lui. La mia non è certo l’unica vita segnata da un lutto, mi guardo intorno e ne vedo tante di storie simili. La differenza è che nel mio caso - con i media che parlano continuamente di lui e del perché non si candida, e ogni tanto fanno anche vaghi riferimenti alla morte dei miei cari - dimenticare è impossibile. Tutte le domande che ho cercato di seppellire - che mi tormentano con i loro “perché” - sono tornate a galla. Ora ho bisogno delle risposte, una volta per tutte, per guardare avanti».

Non poteva contattarlo privatamente?

«Ci ho provato. Ho anche telefonato al suo ufficio stampa: ho espresso il desiderio di un confronto privato, mi hanno promesso che mi avrebbero fatto sapere. Mi ha richiamato un nipote di Grillo: mi ha spiegato che tutta la sua famiglia aveva sofferto per l’incidente, che non era il momento di ritornare sull’argomento. Ma per me il momento è questo: sono cresciuta, sono mamma, sono pronta per sapere e per parlare. Solo dopo quel “no” ho accettato di parlare con voi».

In passato, Beppe Grillo l’ha cercata?

«Mai. Non ho mai avuto occasione di sentirmi raccontare come sono andate le cose direttamente da lui, l’unico che possa davvero farlo. Mi conosceva bene, era amico dei miei, frequentava la nostra casa: come è possibile che in tutti questi anni non abbia mai sentito l’esigenza di vedermi, di chiedermi scusa, almeno di telefonare ai miei genitori adottivi per sapere come stavo?».


La versione integrale dell'intervista sarà online domani su www.kikapress.com, http://www.vanityfair.it e in edicola da giovedi' 6 su Vanity Fair

di Chiara Bruschi / Kikapress

IL SILENZIO DI GRILLO
Prima di andare in stampa con questa storia, abbiamo avvertito Beppe Grillo e gli abbiamo dato la possibilità di commentarla in qualsiasi modo. Lui ha scelto – legittimamente – di non farlo.

Fonte: Kikapress


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ESCLUSIVO – “Signor Grillo, non cerco nulla se non la verità”

 SOLO SU KIKA- L'intervista integrale a Cristina Giberti


«Non cerco nulla, se non la verità. Mi rifiuto di essere strumentalizzata da una politica in cui non mi riconosco, e dopo questa intervista non intendo tornare sull’argomento, quindi prego giornalisti e fotografi di non cercarmi più. Chiedo solo di incontrare il signor Grillo. È un gesto che devo a me stessa, ma anche ai miei genitori e a mio fratello, che non possono più parlare: lo faccio io a nome loro. Moltre volte mi sono chiesta che cosa proverei ad averlo davanti a me, di persona, per chiedergli di quel giorno. Fra tutti quelli che in questi giorni sentono continuamente parlare di lui e vedono la sua faccia e leggono ovunque le sue parole ci sono anche io, e lui dovrebbe ricordarselo, e dovrebbe capire l’effetto che mi fa. Ogni giorno penso a come sarebbe la mia vita se i miei genitori e mio fratello fossero ancora con me».


1981, 7 dicembre.

«Mamma, posso restare a vedere un cartone?». Cristina ha 7 anni il giorno in cui saluta il padre Renzo Giberti, la madre Rossella e il fratello Francesco, di due anni più grande. Sono a Limone Piemonte, dove la famiglia genovese ha una casa di montagna, e a passare con loro il ponte dell’Immacolata c’è un ospite famoso che per loro è di casa: Beppe Grillo è un vecchio amico di papà. È una splendida giornata e si decide, dopo pranzo, di andare un paio d’ore a godersi il sole su, in alto, al Duemila, una baita sulla Via del Sale, il vecchio passo per la Francia. Una strada stretta, sterrata, ma praticabile anche in inverno se non c’è neve, come oggi. Il Range Rover di Renzo è ingolfato, Grillo offre di usare la sua Chevrolet. Cristina si ferma a casa dell’amichetta che l’ha invitata. Quasi a destinazione, dietro una curva, il sole illumina un lungo lastrone di ghiaccio: a destra la parete di roccia, a sinistra lo strapiombo. L’auto comincia a slittare all’indietro, diventa ingovernabile, urta la roccia, si gira, cade con il muso nel burrone. All’ultimo momento Grillo riesce a spalancare la portiera e a buttarsi. Per i Giberti non c’è niente da fare.

«In questo momento il ricordo struggente va ai poveri Renzo, Rossella e Francesco Giberti, i miei cari amici genovesi che non ci sono più: anche se non mi sento - e per la magistratura non sono - colpevole della loro morte, l’immagine spaventosa di quel che è accaduto quel giorno a Limone non mi abbandonerà mai più»: così, secondo La Stampa, Grillo commenta nel 1984 la sentenza di assoluzione con formula dubitativa del Tribunale di Cuneo. A Cristina, i cui familiari si sono costituiti parte civile, viene destinato un risarcimento. L’anno dopo però la Corte di Appello di Torino ribalta la sentenza e condanna il comico, per omicidio colposo, a un anno e due mesi di reclusione, per avere «proseguito nella marcia, malgrado l’avvistamento della zona ghiacciata, mentre avrebbe avuto tutto lo spazio per arrestare la marcia, scendere, controllare, retrocedere o, quanto meno, proseguire da solo».

Sentenza condonata ma confermata in Cassazione, e che motiverà Grillo - come lui stesso spiegherà in campagna elettorale - a non candidarsi, sulla base del regolamento del Movimento 5 Stelle che esclude i condannati.

2013, gennaio. Altra città, altro cognome: quello del marito della sorella della madre, che la adottò all’indomani della tragedia. Gli zii sono diventati genitori, i cugini fratelli. Cristina è cresciuta in una famiglia unita e benestante. Oggi è madre, ha 38 anni, una professione, fa volontariato per l’infanzia. Affronta l’intervista divisa tra il bisogno di ricevere verità da quello che lei chiama «il signor Grillo» e la ritrosia naturale. «Non amo parlare di me, forse la vita mi ha resa introversa. Ma oggi sono matura, ho fatto i conti con il passato e ho trovato il coraggio di guardare indietro».

Cristina, perché proprio oggi, alla vigilia delle elezioni, dopo più di trent’anni di silenzio?

«Gliel’ho detto: il signor Grillo è una presenza pubblica come mai prima, e come mai prima è forte la mia esigenza di confrontarmi con lui.

La mia non è certo l’unica vita segnata da un lutto, mi guardo intorno e ne vedo tante di storie simili. La differenza è che nel mio caso - con i media che parlano continuamente di lui e del perché non si candida, e ogni tanto fanno anche vaghi riferimenti alla morte dei miei cari - dimenticare è impossibile. Tutte le domande che ho cercato di seppellire - che mi tormentano con i loro “perché” - sono tornate a galla. Ora ho bisogno delle risposte, una volta per tutte, per guardare avanti».

Non poteva contattarlo privatamente?

«Ci ho provato. Non sa quante volte mi ero detta: ora vado in una sede dei 5 Stelle e mi presento. Tempo fa ho scritto sul suo blog, spiegando che avevo bisogno di parlare con lui, ma il mio commento non è mai andato online, forse non mi hanno dato credito, forse un moderatore lo ha cancellato. Allora, più di recente, ho telefonato al suo ufficio stampa: ho detto chi ero, mi hanno passato un assistente di Casaleggio (Gianroberto, il braccio destro di Grillo, ndr), gli ho espresso il desiderio di un confronto privato, lui mi ha promesso che mi avrebbero fatto sapere.
Mi ha richiamato un nipote di Grillo: mi ha spiegato che non era possibile venire incontro alla mia richiesta, che tutta la sua famiglia aveva sofferto per l’incidente, che non era il momento di ritornare sull’argomento.

Ma per me il momento è questo: sono cresciuta, sono mamma, sono pronta per sapere e per parlare. Solo dopo quel “no” ho accettato di parlare con lei».

Che cosa ricorda di quel 7 dicembre?

«Che dovetti insistere con la mamma per avere il permesso di andare a casa della mia amica: lei inizialmente non voleva. Poi più niente. Ho ricordi sporadici dei mesi successivi. Il trasferimento in un’altra città, il cambio della scuola, i compagni che mi guardavano diversamente dai miei vecchi amici, come se sapessero già tutto, o almeno questo io intuivo. Oggi so che, quando si subiscono forti traumi, si tende a rimuovere i momenti più dolorosi. Ecco il perché dei miei vuoti di memoria. Se sfoglio gli articoli di allora con le mie foto, non ricordo quasi niente».

In passato, Beppe Grillo l’ha cercata?

«Mai. Tutto quello che so dell’incidente me lo ha raccontato mia zia, che mi ha cresciuta e mi è stata sempre vicina. Non ho mai avuto occasione di sentirmi raccontare come sono andate le cose direttamente da lui, l’unico che possa davvero farlo, visto che era alla guida ed è stato con i miei genitori e mio fratello fino all’ultimo istante della loro vita.

Lui mi conosceva bene, era amico dei miei, frequentava la nostra casa: come è possibile che in tutti questi anni non abbia mai sentito l’esigenza di vedermi, di chiedermi scusa, almeno di telefonare ai miei genitori adottivi per sapere come stavo? Non dico una richiesta di perdono, ma almeno un segno di interesse. Eppure sapeva dove fossi e con chi vivessi: se avesse voluto mi avrebbe trovata in un attimo».

Se le chiedesse perdono, lei glielo darebbe?

«Mi hanno insegnato a non odiare nessuno e a non serbare rancore. Però le responsabilità da qualche parte esistono - lo ha stabilito anche la sentenza -, non si può imputare tutto al fato. Con il tempo ho imparato ad accettare quello che è successo alla mia famiglia, ma perdonare... non lo so, non fino a quando avrò un confronto diretto con lui».

Qual è la prima cosa che gli vuole chiedere?


«Perché non si è mai fatto avanti. Capisco che è un confronto doloroso, che spaventa. Io oggi sono madre, quando ho in auto con me gli amici dei miei figli sto doppiamente attenta, però un incidente può succedere.

Ripeto: per una parte do la colpa al destino, per un’altra sono convinta che ci siano responsabilità umane, ma non voglio giudicare: dico solo che, se mi capitasse una cosa del genere, mi sentirei per sempre responsabile e mi sforzerei di essere un po’ un angelo custode verso un innocente che ha pagato il prezzo più caro.

Finché non avrò un suo chiarimento continuerò a pormi domande, e a fare supposizioni: le risposte me le può dare solo lui, e me le deve dare. Ora sa che lo cerco: smetterò di farlo, a meno che non sia lui a cercare me. Un chiarimento indotto è meglio di niente: magari adesso succederà. Mi premeva recapitargli il mio messaggio».

Che cosa pensa della politica italiana?

«Non posso restare indifferente di fronte agli scandali e allo spazio dato a quelli che secondo me sono personaggi di spettacolo, più che cittadini interessati alla cosa pubblica. Metterei più gente comune a difendere gli interessi degli italiani. Basta con le solite facce».

Lo chiede anche il Movimento 5 Stelle.

«Lo so, e credo sia la loro forza. Come la maggior parte della gente sono d’accordo su questo punto del loro programma, e anche con l’idea di abolire i privilegi economici della classe politica. Siamo tutti stanchi, delusi, arrabbiati».

Se non fosse successo quello che è successo, lo voterebbe Grillo?

«No, non credo. Perché non lo trovo diverso dagli altri. I politici che vedo mi sembrano tutti uguali: concentrati sui propri interessi più che su quelli della collettività».

Ha scelto di non mostrarsi in volto. Perché?

«Nessuno, a parte gli amici più intimi, conosce il mio vero passato. Nemmeno i miei figli sanno la verità: sto aspettando che crescano ancora un po’ prima di raccontargliela. La morte non è facile da capire quando si è così piccoli: lo so bene, mi creda. Anche per questo chiedo a tutti che la mia privacy venga rispettata».

A lei chi disse la verità?

«Per un mese mi raccontarono che i miei genitori e mio fratello erano in ospedale dopo un incidente. Una bugia imposta ai miei familiari dallo psicologo del tribunale, per evitarmi un trauma immediato. Solo che piangevo in continuazione - me lo racconta mia zia, io non ricordo - perché non capivo che cosa fosse successo: chiedevo di parlare con il papà, con la mamma, con Francesco, di sentirli almeno al telefono, ma mi dicevano che non si poteva, e ogni volta c’era una scusa diversa».

Interviene la zia, che è presente all’intervista. «Una crudeltà insopportabile: Cristina aveva diritto di sapere. Un mese dopo la tragedia - di ritorno dalla messa di suffragio per mia sorella, mio cognato e mio nipote - decidemmo, con mio marito e i miei genitori, di dirle che mamma, papà e Francesco erano andati in Paradiso. La strinsi tra le braccia mentre singhiozzava, ma la sensazione che percepii fu quella di una liberazione. Credo avesse già capito tutto, e aspettasse solo una conferma per andare avanti. Mi chiese: zia, mi farai tu da mamma? Certo, risposi. Saremo la tua famiglia, e ti proteggeremo sempre».

Come è stata la sua vita, Cristina?

«Nella grande disgrazia, mi ritengo molto fortunata. Non mi è mai mancato nulla. I miei zii mi hanno davvero protetto, difeso, e hanno avuto la grande forza di aiutarmi a superare il lutto senza farmi pesare anche il loro dolore. Mi sono sentita amata due volte. All’affetto della mia famiglia devo tutto: anche il coraggio di affrontare finalmente la verità e di dare voce al mio dolore. Voglio anche andare nel luogo dove tutto è successo: prima o poi sarò pronta a farlo».

Fonte: Kikapress


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ESCLUSIVO:

Parla la madre adottiva di Cristina

di Chiara Bruschi

"Vorrei proteggerla, ma comprendo il suo desiderio di verità"



«Vorrei proteggerla come ho sempre fatto, e risparmiarle un confronto che la farà soffrire. Ma devo rispettare il suo bisogno di verità. È un bisogno che conosco bene: ci sono passata».

Era il luglio del 1982, sette mesi dopo la tragedia, quando la zia di Cristina - in vacanza a Marina di Ravenna con i figli (compresa la nipote adottata), il marito e i genitori - si trovò davanti a un cartellone che pubblicizzava lo spettacolo di Beppe Grillo. «Non lo avevo visto né sentito, nemmeno al funerale. E a me serviva la verità. Volevo sapere se i miei cari avevano sofferto, se prima di morire avevano detto qualcosa». Decise allora per un confronto, che qui racconta.

«La sera dello spettacolo mi presentai all’ingresso. Appena lui scese dall’auto, lo fermai. Grillo mi riconobbe - somigliavo molto a mia sorella - e capì. Ordinò di sospendere la serata. Andammo a sederci in un bar, dove mi diede la sua versione dell’incidente, e di quello che era successo poi. Di come, dopo essersi buttato dall’auto, era sceso per tentare di soccorrere gli amici.

Di come aveva trovato mio cognato in fin di vita, delle sue ultime parole: “Cerca Rossana, cerca il bambino”. Di come, disperato, lo aveva coperto con la sua giacca e aveva proseguito verso la carcassa dell’auto. Di come aveva trovato mia sorella, purtroppo già morta.
 Di come aveva inutilmente cercato Francesco: il Soccorso Alpino impiegò due giorni e due notti prima di recuperarlo, in fondo al burrone.

«Alla fine gli chiesi di venire da mio padre e mia madre: anche loro avevano diritto di sapere. Mi diede appuntamento per il pomeriggio dopo, e mantenne la promessa. Avevo mandato i bambini fuori con la baby sitter. Entrò in casa, vide i miei genitori e si buttò in ginocchio, in lacrime: “È stato un incidente, io non volevo, ho sbagliato tutto”.

Piangemmo tutti. Poi raccontò anche a loro quello che aveva detto a me, e se ne andò. Mio padre trascorreva le giornate tra crisi di pianto e sedativi: morì di crepacuore, due mesi dopo. Mia madre, invece, non versò mai una lacrima, come tramortita, e per il resto della sua vita ebbe sempre il pensiero rivolto a loro. Sua figlia Rossana, il suo genero Renzo, il suo nipotino Francesco»
Fonte: Kikapress


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Beppe Grillo, ecco la ricostruzione dell’incidente

di Chiara Bruschi
Le testimonianze, la cronaca e la sentenza della Cassazione


















  (foto di Massimo Rosi
«Ho cercato di assecondare la marcia del veicolo all’indietro, come quando si fa retromarcia, puntando verso una sporgenza di roccia del monte, dove speravo di fermarmi. Per disgrazia ho colpito quella sporgenza con la ruota di scorta esterna e la macchina ha ruotato verso il burrone. Istintivamente ho spalancato la portiera e mi sono lanciato fuori mentre la Chevrolet precipitava». Parlava così Beppe Grillo, secondo quanto riportato da La Stampa del 22 marzo 1984, per descrivere la dinamica dell’incidente automobilistico che il 7 dicembre 1981 provocò la morte di Renzo Giberti, 45 anni, della moglie Rossana Quartapelle, 34, e del figlio Francesco, 9.

Una tesi, quella del comico alla guida del veicolo, che convinse la corte del Tribunale di Cuneo chiamata a pronunciarsi in primo grado di giudizio (l’imputato fu assolto con formula dubitativa) ma non quelle di Appello e Cassazione, che invece si pronunciarono rispettivamente nel 1985 e nel 1988: «La corte (…) ha individuato la colpa del Grillo nell’avere proseguito nella marcia, malgrado l’avvistamento della zona ghiacciata, mentre avrebbe avuto tutto il spazio per arrestare la marcia, scendere, controllare o quanto meno, proseguire da solo», riporta la sentenza del 7 aprile 1988 della Corte Suprema di Cassazione. Quest’ultima aveva quindi motivato così il rigetto del ricorso formulato dall’imputato e con queste parole confermava la condanna emessa dalla Corte di Appello di Torino il 12 marzo 1985 a «un anno e due mesi di reclusione con sospensione della patente di guida per eguale periodo di tempo», poi condonata.

«Credetemi, dobbiamo sempre avere fiducia nella giustizia e nell’operato della magistratura», aveva commentato a caldo, in base a quanto riportato da Gianni De Matteis su La Stampa del giorno dopo l’assoluzione in primo grado. “In questo momento il ricordo struggente va ai poveri Renzo, Rossana e Francesco, i miei cari amici genovesi che non ci sono più. Anche se non mi sento, e anche per la magistratura non lo sono, colpevole della loro morte, l’immagine spaventosa di quel che è accaduto quel giorno a Limone non mi abbandonerà mai più». La sentenza di assoluzione era stata accolta con un «applauso spontaneo della grande folla che dal mattino gremiva l’aula», scriveva De Matteis. In base a quanto scritto da Franco Giliberto su La Stampa il 22 marzo del 1984, Cristina Giberti, che nell’incidente aveva perso i genitori e il fratellino, «ha ricevuto dall’assicurazione quasi 300 milioni (di lire, ndr) e altri 250 da Beppe».

Che cosa accadde, davvero, quel giorno?

«Renzo Giberti, ex calciatore del Genoa, era molto tifoso», racconta Maura, sorella di Rossana, moglie di Giberti. «Lui e Beppe si conoscevano e si frequentavano da tempo. Andavano insieme allo stadio, si vedevano nel tempo libero. Alla fine della trasmissione tv Te la do io L’America, e dopo le riprese del film Cercasi Gesù, mia sorella e mio cognato lo avevano invitato a fare questo week end per riposarsi un po’. Quel 7 dicembre avevano comprato tartufi, vino: loro erano fatti così, gentili e ospitali. E poi erano felici perché mia sorella adorava gli spettacoli di Grillo. Appena finito di mangiare, poiché c’era un bellissimo sole, decisero di raggiungere Baita 2000. Mio cognato conosceva molto bene quel percorso, avendo avuto la casa lì fin da piccolo, ma quella volta capitarono una serie di sfortunate coincidenze. Lui e mia sorella non salivano mai in un’automobile guidata da altri, perché non si fidavano, però Grillo aveva una nuova Chevrolet appena arrivata dall’America, e la Range Rover di mio cognato non voleva saperne di partire. Si era ingolfata. Così accettarono il passaggio. In auto, con loro e il piccolo Francesco, c'erano altri tre amici, Andrea Mambretti e Carlo Stanisci con la fidanzata Monica».

Per raggiungere quota duemila, occorre percorrere la via Del Sale, una strada militare sterrata della larghezza media di tre metri. Sulla destra l’auto ha la parete rocciosa, sulla sinistra un burrone ripidissimo. Manca qualche centinaio di metri all’arrivo e il cane di Carlo e Monica comincia ad abbaiare, forse ha bisogno di fare una passeggiata all’aperto: i due chiedono di scendere perché vogliono proseguire a piedi. L’incidente si consumerà davanti ai loro occhi.
Poco più avanti, infatti, in corrispondenza di una curva a destra e in prossimità di una grande roccia chiamata Cabanaira, la strada diventa un lastrone di ghiaccio. Grillo tenta di superare l'ostacolo ma l'auto, invece di obbedire ai comandi, scivola e slitta all’indietro, probabilmente ingovernabile. Dopo aver urtato la parete rocciosa con la parte posteriore dell’auto, il veicolo è ormai fuori controllo e precipita con il muso verso il burrone.

Grillo spalanca la portiera e si butta prima del precipizio. Il tettuccio a pressione si stacca durante uno dei primi impatti. Mambretti si aggrappa alla carrozzeria con tutte le sue forze, e questo gli permette di non essere sbalzato fuori se non negli ultimi metri della caduta. I Giberti invece, probabilmente presi dal disperato tentativo di proteggere il figlio, vengono catapultati all'esterno quasi subito: l’auto, in caduta giù per il burrone, travolgerà prima Francesco e poi Rossana. Grillo si rialza quasi illeso e corre verso lo strapiombo. Cerca di prestare soccorso, ma trova Renzo moribondo e Rossana già morta. Di Francesco non c’è traccia. Il suo corpo sarà trovato dal soccorso alpino dopo due giorni e due notti di ricerche. Alberto è ferito, ma non è in pericolo di vita.

Il fuoristrada, scrivono Maria Latella, Mario Bottaro e Renzo Parodi sul Secolo XIX, è «ridotto a un ammasso di rottami». Per recuperarlo «è stato richiesto l’intervento di un elicottero dei carabinieri, ma questa operazione è impossibile in quanto la jeep è troppo pesante (…).Toccherà così a una ditta privata rimuovere con cavi di acciaio e verricelli la carcassa del veicolo». A Limone, ancora oggi, le opinioni sulla tragedia divergono: «Poteva capitare a chiunque, non è stata colpa sua. Noi quella strada la percorrevamo sempre», dicono in tanti. Altri sottolineano l'imprudenza di viaggiare con un'auto così pesante, in pieno inverno, senza catene, su un percorso che non siconosce e dove la presenza di ghiaccio è quasi scontata.

La Via del Sale è una vecchia strada militare che unisce Limone Piemonte alla Francia. La percorriamo, con una guida esperta del luogo, a inizio inverno, prima che la neve la renda impraticabile. Superiamo quota 1400 e incontriamo una prima di due limitazioni di transito, chiuse da un lucchetto. In quel punto la strada si restringe ulteriormente. È sporca, a tratti ghiacciata e in altri innevata. A un certo punto la guida scende per montare le catene: sulla destra c’è una parete rocciosa e sulla sinistra lo strapiombo, meglio non rischiare. «Solitamente a dicembre questa strada è impraticabile», ci spiega, «perché questa è zona sciistica. Ci sono le piste ed è tutto innevato». Ma il 1981 è stato un anno scarsissimo quanto a precipitazioni: quel giorno, di neve non ce n'era. C'era il ghiaccio, però.

Proprio sotto la roccia chiamata Cabanaira, scorre un fiumiciattolo proveniente da una sorgente più a monte. In alcuni tratti l'acqua ricopre interamente il manto stradale: basta poco per creare una lastra micidiale. In un punto, sotto cui una targa ricorda Renzo, Francesco e Rossana, la strada si stringe e il burrone ha una pendenza pressocché verticale. Sul fondo della scarpata, quasi cento metri più sotto, ancora oggi, si intravedono ancora alcuni rottami della Chevrolet rossa e bianca.
Fonte: Kikapress

 Tra i commenti:

Francesca Grondona scrive:
Buongiorno,
se poteste girare la mia mail a Cristina, ero una sua compagna di classe in prima e seconda elementare a Genova alle Dorotee, se avesse voglia di contattarmi mi farebbe piacere.
Mi ha molto colpito l’intervista anche perchè mi ricordo bene il fatto perchè la nostra maestra suor Teresa ci aveva fatto ascoltare per radio l’accaduto per farci capire…abbiamo saputo solo dopo che non l’avremmo più rivista. Negli anni vedendo il personaggio la mia mente correva a Lei, l’ho pensata tante volte. E’ una vicenda che mi era rimasta impressa tanto è vero che non sono mai riuscita a vedere spettacoli del comico e ora ancora meno il politico.
Cordiali saluti.
Francesca Grondona

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La verità sul processo a Beppe Grillo per omicidio colposo

06/02/2013 - La racconta Filippo Facci su Libero

 La verità sul processo a Beppe Grillo per omicidio colposo
 


Dopo l’intervista rilasciata da Cristina Giberti a Vanity Fair, Filippo Facci su Libero ricostruisce la storia del processo a Beppe Grillo per omicidio colposo. La vicenda è nota, e accadde nel 1980. La storia giudiziaria comincia così:

Il processo di primo grado fu nel 1984. Emblematico l’interrogatorio in aula: «Quando si è accorto di essere finito su un lastrone di ghiaccio con la macchina?»; «Ho avuto la sensazione di esserci finito sopra prima ancora di vederlo»; «Allora non guardava la strada». Il 21 marzo, dopo una lunga camera di consiglio, Grillo venne assolto dal tribunale di Cuneo con formula dubitativa, la vecchia insufficienza di prove: questo dopo aver pagato 600 milioni alla piccola Cristina di 9 anni, unica superstite della famiglia Giberti. La metà dei soldi – una cifra enorme, per l’epoca – furono pagati dall’assicurazione.
L’accusa propose Appello e venne fuori la verità, ossia le prove:
Il pericolo era stato prospettato anche da una segnaletica che nessun giornalista frattanto era andato a verificare. La strada in effetti era chiusa al traffico. La Corte d’Appello di Torino, il 13 marzo 1985, lo condannò a un anno e quattro mesi col beneficio della condizionale, ma col ritiro della patente: «Si può dire dimostrato, al di là di ogni possibile dubbio, che l’imputato risalendo la strada da valle, poteva percepire tempestivamente la presenza del manto di ghiaccio (…). L’esistenza del pericolo era evidente e percepibile da parecchi metri, almeno quattro o cinque, e così non è sostenibile che l’imputato non potesse evitare di finirci sopra », sicché l’imputato «disponeva di tutto lo spazio necessario per arrestarsi senza difficoltà» ma non lo fece, anzi decise «consapevolmente di affrontare il pericolo e di compiere il tentativo di superare il manto ghiacciato. Farlo con quel veicolo costituisce una macroscopica imprudenza che non costituisce oggetto di discussione ».
In Cassazione Grillo perde di nuovo nonostante sia assistito dall’avvocato Alfredo Biondi, poi esponente di Forza Italia e PdL.
(credit foto: Kikapress)



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 Chiara Bruschi:
“Perchè ho intervistato Cristina Giberti”

 Le ragioni della giornalista di Kika che l'ha trovata


«Con un’informazione libera l’Italia cambierebbe in 24 ore. I giornalisti italiani si suddividono in tre categorie: gli indipendenti (pochi, eroici e spesso emarginati), gli schiavi (tantissimi,sfruttati e pagati 5/10/20 euro a pezzo) e i Grandi Trombettieri del Sistema, nominati in posizioni di comando dai partiti e dalle lobby (direttori di testata, caporedattori, grandi firme, intellettuali per meriti sul campo)». Questa frase è presa da un post del blog di Beppe Grillo e ci sentiamo di dire che siamo nel primo di questi tre gruppi, perché se in qualche modo fossimo Grandi Trombettieri del Sistema, avremmo deciso di chinare il capo verso il sistema: era prevedibile che si scatenasse un putiferio e che non mancassero insulti, accuse, speculazioni.

Dopo aver letto le critiche di alcuni utenti di Kika e di Vanity Fair rivolte al lavoro che abbiamo svolto con attenzione, sensibilità ed etica giornalistica, abbiamo deciso di chiarire, anche se i fanatici non cambieranno idea, il nostro punto di vista.L’incidente dell’81 era un argomento di cui non si sapeva molto. C’era una lacuna da colmare, e questo ci ha incuriositi. Per quanto ne sapevamo, Grillo quella bambina poteva anche averla adottata. Ci siamo mossi senza pregiudizio, e abbiamo pubblicato la storia che abbiamo trovato. Dove sta l’errore? La faziosità? La manovra politica?

Non è questo il giornalismo libero di cui parla anche il post citato in queste prime righe? I grillini e lo stesso Beppe Grillo dovrebbero essere felici che un magazine come Vanity Fair e un sito come Kikapress.com abbiano dimostrato di esserlo, che c’e’ speranza e che esistono giornalisti indipendenti.

O forse sarebbe stato più morale pubblicarla tra un mese? O non pubblicarla del tutto? E’ questa la libertà di stampa che chiedete? Non ci sono brutte verità ma solo storie vere. Davvero pensate che si debbano raccontare solo quelle «comode»? Noi no.

E, per rispondere alle insinuazioni più frequenti:

- primo, Cristina non ha chiesto un euro, né noi glielo avremmo offerto, perché le notizie non si comprano e le fonti non si pagano;

- secondo, come può «volersi fare pubblicità» una persona che rifiuta di farsi fotografare in volto e di far citare il suo nuovo nome, una persona che non ci ha cercati, l’abbiamo cercata noi, e lei ha deciso di parlarci solo dopo l’ennesimo - sottolineo ennesimo - inutile tentativo di parlare con Grillo, solo dopo essersi sentita rispondere che «la sua famiglia aveva già sofferto troppo»?- terzo, l’intervista è stata pubblicata esattamente quando è stata ultimata e compiute le approfondite verifiche, senza calcoli temporali o alcun tipo di premeditazione;

- quarto, avendola incontrata personalmente, ci sentiamo di potere affermare che Cristina non ha rilasciato l’intervista per vendetta o rancore ma per conoscere la verità di Beppe Grillo, la versione dei fatti dell’ultima persona che ha visto in vita sua madre, suo padre e suo fratello: un’esigenza comprensibile, ci pare, e sicuramente non condannabile.

 Non puntiamo il dito, non esprimiamo giudizi. Semplicemente, raccontiamo una storia per darvi – e darci – la possibilità di formare un’opinione. Di riflettere, di confrontarci.
E lo vogliamo dire forte: non può esserci un giornalismo indipendente, quell’informazione libera di cui si parlava all’inizio di questa riflessione di Beppe Grillo, se imponiamo la censura a noi stessi solo perché quello che stiamo per scrivere non piacerà a qualcuno. I primi ad applaudire dovrebbero proprio essere i fan di Beppe Grillo, perché questa storia è frutto del lavoro di giornalisti indipendenti.
E tra i tanti commenti, voglio sottolineare questo, postato sull’editoriale di Luca Dini: «Gentile Direttore, io vorrei ringraziarla perché dopo tanto tempo mi è finalmente capitato di poter apprezzare il senso del giornalismo e dell’informazione e per un attimo mi è sembrato di essere in un paese libero!».
Chiara Bruschi - kikapress.com

Fonte: Kikapress

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5.2.13


AMNESIE DI BEPPE GRILLO

di Gianni Lannes

Il padrone per conto terzi di un movimento politico che ha nella bandiera l’etica comportamentale, che non dialoga bensì monologa, possiede un precedente personale molto ingombrante. E’ condannato e quindi secondo le sue regole non dovrebbe candidarsi…. eppure, guarda caso, lui stesso sembra non seguirle. Che disinvoltura. Siamo in Italia, bellezza! In campagna elettorale tutto fa brodo.


In tanti mi chiedono lumi sull’intrattenitore italiota. A parte aver già dedicato un corposo paragrafo alle sue bravate, proprio nel mio libro IL GRANDE FRATELLO. STRATEGIE DEL DOMINIO, è utile aggiungere qualche altra riflessione documentata sull’ultimo “profeta” (sic!) allevato nello Stivale dai poteri massonici inglesi.  


Qualcuno si è montato la testa in piazza? Sull’attendibile sito web di Rai News 24 leggo ora un comunicato stampa con tanto di logo del capoccia e programma (datato11 gennaio 2013), intitolato “Cinque stelle candida Grillo a palazzo Chigi” che non riporta smentite dell’interessato. Ma, come, il ragioniere ligure aveva sempre spergiurato, che non si sarebbe candidato? La notizia che campeggia in bella mostra sul portale radiotelevisivo recita esattamente così: 


«Il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo ha presentato il proprio simbolo al Viminale e candida proprio il comico blogger, e leader di riferimento del Movimento, a governare la Repubblica italiana».


Accantoniamo i conclamati deliri razzistici, i peana sulla mafia in Sicilia e gli accoppiamenti destrorsi, ma vuoi mettere lo spettacolo a pagamento per anni di quei fessi degli italioti? Guardiamo oltre. 



Giustamente il padrone del movimento 5 stelle non vuole in Parlamento i condannati per corruzione. E i condannati per omicidio colposo come lui? Loro possono sedere alla Camera dei Deputati o alla Presidenza del Consiglio dei Ministri? Beppe Grillo è stato condannato per omicidio colposo. Esatto. Lo sapevate?

Il pluriomicida - La vicenda è sepolta nell’oblio, ma è bene rinfrescare la memoria di chi soffre accidentalmente d’amnesia, ed insulta violentemente chi osa dissentire civilmente.



Venticinque anni fa la Corte Suprema di Cassazione  ha confermato la condanna definitiva - un anno e quattro mesi di carcere - a Beppe Grillo per omicidio colposo plurimo, poiché giudicato responsabile della morte di due coniugi genovesi, Renzo Giberti (45 anni) e Rossana Guastapelle (33 anni), e del loro bambino Francesco, di 9 anni, a seguito di un incidente stradale nei pressi di Limone Piemonte, da lui causato l'8 dicembre 1981.

Ecco cosa si apprende da un verbale di interrogatorio in aula, nel 1984: «Quando si è accorto di essere finito su un lastrone di ghiaccio con la macchina?»; «Ho avuto la sensazione di esserci finito sopra prima ancora di vederlo»; «Allora non guardava la strada». In primo grado Grillo venne assolto con formula dubitativa ma la Corte d’Appello di Torino, il 13 marzo 1985, lo condannò a un anno e 4 mesi col ritiro della patente: «Si può dire dimostrato, al di là di ogni possibile dubbio, che l’imputato risalendo la strada da valle, poteva percepire tempestivamente la presenza del manto di ghiaccio (…). L’esistenza del pericolo era evidente e percepibile da parecchi metri, almeno quattro o cinque, e così non è sostenibile che l’imputato non potesse evitare di finirci sopra», sicché l’imputato «disponeva di tutto lo spazio necessario per arrestarsi senza difficoltà» ma non lo fece, anzi decise «consapevolmente di affrontare il pericolo e di compiere il tentativo di superare il manto ghiacciato. Farlo con quel veicolo costituisce una macroscopica imprudenza che non costituisce oggetto di discussione». 

La condanna, appunto, sarà resa definitiva dalla IV sezione penale della Corte Suprema di Cassazione l'8 aprile 1988.




La storia - Nel pomeriggio dell'8 dicembre 1981 Beppe Grillo perse il controllo di un fuoristrada Chevrolet K5 Blazer mentre percorreva la strada militare, vietata al transito, che da Limone Piemonte porta sopra il Colle di Tenda. Il veicolo sei chilometri dopo Quota 1400 scivolando su un lastrone di ghiaccio cadde in un burrone profondo ottanta metri. A bordo con Grillo c'erano altri quattro amici genovesi con i quali stava trascorrendo il fine settimana dell'Immacolata. Grillo si salvò, essendosi gettato fuori dall'abitacolo in tempo prima che cadesse nel vuoto. Tre settimane dopo l'incidente, per Grillo scattò l'incriminazione per omicidio plurimo colposo. Nell'ottobre 1982 la perizia ordinata dal giudice istruttore suggerisce che Grillo fu colpevole di non aver fatto scendere i suoi passeggeri prima di affrontare il tratto di strada più pericoloso e pertanto il 28 settembre 1983 il popolare comico genovese viene rinviato a giudizio. Il processo di primo grado si celebrò a Cuneo il 21 marzo 1984 concludendosi con l'assoluzione di Grillo per insufficienza di prove. Pubblico ministero e avvocato della difesa ricorrono in appello. Il primo perché aveva chiesto una condanna a sedici mesi di reclusione, il secondo per avere un'assoluzione più ampia.




Tragedia un piffero - Voleva mettere in mostra il gippone nuovo? Così ha alzato la sbarra di una strada chiusa perché troppo pericolosa? Gli altri hanno dissentito, ma lui non ha sentito opinioni? I due fidanzati, dopo aver verificato la scarsa tenuta del veicolo e l’imprudenza del guidatore, decisero prudentemente di scendere e farsela a piedi. Ma la famiglia Giberti non aveva questa alternativa. Francesco era troppo piccolo per camminare al freddo per tutta quella strada e i cellulari non esistevano. Non avevano quindi altra scelta che mettere la vita propria e del figlio in mano ad uno sbruffone. Ad un certo punto si presentò un tratto di strada completamente ghiacciato. Grillo rallentò un po’ ma lo stesso decise di provarci, incurante del fatto che la sua auto - con solo due porte - era una trappola mortale per i passeggeri. Quando finì sul ghiaccio cominciò a sbagliare manovre. Ad un certo punto urtò una piccola sporgenza di roccia con la ruota di scorta posteriore e l’auto si girò, puntando minacciosamente verso il baratro. Iniziò così lentamente a muoversi. Appena avvertito il pericolo, Grillo, senza dire una parola scese dall’auto, ormai salvo, fuori dal fuoristrada senza controllo. Gli altri non avevano ancora realizzato nulla. Bilancio finale per la bravata di Grillo: tre morti (tra cui un bimbo) ed un ferito grave.

Cristina Giberti - «Beppe Grillo non si è mai scusato con me» - Il giornale Vanity Fair ad una manciata di settimane dalle elezioni politiche rispolvera una vecchia storia. La rivista ha intervistato Cristina Giberti,  la quale nel 1981 aveva 7 anni:


«Chiedo solo di incontrare il signor Grillo. È un gesto che devo a me stessa, ma anche ai miei genitori e a mio fratello, che non possono più parlare: lo faccio io a nome loro. Molte volte mi sono chiesta che cosa proverei ad averlo davanti a me, di persona, per chiedergli di quel giorno. (…) Non ho mai avuto occasione di sentirmi raccontare come sono andate le cose direttamente da lui, l’unico che possa davvero farlo. Mi conosceva bene, era amico dei miei, frequentava la nostra casa: come è possibile che in tutti questi anni non abbia mai sentito l’esigenza di vedermi, di chiedermi scusa, almeno di telefonare ai miei genitori adottivi per sapere come stavo?».

La donna ha spiegato di provare, comprensibilmente, un effetto particolare ogni volta che vede in tv il faccione del comico genovese:

«Fra tutti quelli che in questo periodo sentono continuamente parlare di lui e vedono la sua faccia e leggono ovunque le sue parole ci sono anche io, e lui dovrebbe ricordarselo, e dovrebbe capire l’effetto che mi fa».


La signora, impegnata nel volontariato per l’infanzia, ha raccontato di aver provato ad entrare in contatto con il leader del Movimento 5 Stelle, senza però particolare successo:


«Mi ha richiamato un nipote di Grillo: mi ha spiegato che tutta la sua famiglia aveva sofferto per l’incidente, che non era il momento di ritornare sull’argomento. Ma per me il momento è questo: sono cresciuta, sono mamma, sono pronta per sapere e per parlare».


E’ evidente che Grillo è un personaggio pubblico e che da tempo promuove una politica fatta da persone sulle quali non pendano condanne giudiziarie. Fino ad ora il comico genovese non ha commentato l’intervista della Giberti, anche se Vanity Fair - è scritto nel servizio stesso - lo ha contattato per concedergli spazio sin da subito.  


Nulla di personale. Grillo, però è stato infatti giudicato responsabile, naturalmente ''per colpa'' non per altro, della morte di due adulti e del loro bambino, per avere guidato imprudentemente un fuori strada che è precipitato in un burrone con le tre vittime imprigionate all'interno, mentre lui è riuscito a salvarsi. Una disgrazia, dunque, ma causata dall'imprudenza. Chi incorre in una vicenda come questa è sicuramente degno di pietas: un suo errore, una sua imprudenza l'hanno consegnato per tutta la vita a una colpa terribile. L'unica cosa che si chiede a chi sia incorso in un tragico errore come questo, però, è che non si erga a moralizzatore di un’intera nazione. Invece no. Beppe Grillo si propone all’Italia come Masaniello contro una classe politica di immorali. Non può farlo. Lui, non può farlo. Ed è incredibile che lui stesso, per primo, non lo comprenda e faccia finta di nulla. Tutto qui. O forse vogliamo fare una legge ad personam, che esclude lo sterminatore di una famiglia? Grillo ha anche fatto Appello e il ricorso per Cassazione, perché voleva forse far credere che i tre si erano suicidati? Mi limito ad osservare che nella circostanza Grillo è andato con l’auto in una zona vietata alzando una sbarra, quando si è accorto che a causa del ghiaccio l’auto sbandava e non riusciva più a controllarla, è sceso ed ha abbandonato al loro destino una famiglia ma, soprattutto un bambino, non provando neppure a salvarlo. Questo dovrebbe essere il soggetto a cui affidare la guida di un Paese?


La vicenda giudiziaria di Grillo non fa di lui un criminale, naturalmente, ma ne ha accertato l’irresponsabilità, che ha causato la distruzione di un’intera famiglia. Lo stesso tipo di irresponsabilità mi sembra manifestarsi nell’aizzare in un certo modo la folla, o magari i terroristi di Al Qaeda a lanciarci qualche missile. Preparatevi a morire, dunque: una risata vi seppellirà. E visto che va in onda una farsa, è preferibile astenersi da un voto inutile con una pericolosa legge incostituzionale.

  
riferimenti:

Fonte: Su la testa!