Erano quattro amici. E giuravano di voler cambiare l’Italia. C’era Luigi De Magistris, magistrato famoso per l’inchiesta Why Not. C’era Carlo Vulpio, il giornalista che le inchieste di De Magistris le aveva raccontate sulle colonne del Corriere della Sera. E c’era Sonia Alfano, che aveva fondato l’Associazione nazionale vittime della mafia. E poi c’era lui, Antonio Di Pietro,
l’ex pubblico ministero dell’indimenticabile stagione di Mani Pulite.
Di Pietro, fondatore e leader dell’Italia dei Valori, era un po’ il
direttore d’orchestra: voleva fare di quel terzetto una sorta di trio
d’attacco, di punta di diamante del suo partito. Un partito che doveva
avere un’unica stella polare: l’onestà.
Erano quattro amici,
giuravano di voler cambiare l’Italia e lottare a tutto campo. Contro la
malapolitica, la malagiustizia e la malainformazione. Contro il
“sistema”. Pareva una bella favola. E’ mancato il lieto fine.
Da ultima Sonia Alfano, una manciata di settimane fa, ha commentato
asciutta il suo allontanamento dall’Iddivì: “Ho appreso dalla stampa di essere stata cacciata dall’Italia dei Valori. Ne prendo atto” (link).
Ma prima di lei avevano abbandonato la nave di Di Pietro anche Vulpio e
De Magistris. E così di quei quattro amici e di quella bella favoletta -
a tre anni di distanza - non è rimasto altro che cocci.
E chissà se anche i tanti elettori che si erano lasciati sedurre da quel sogno si ricordano come è che è finita così. Com’è
che si è passati dai quattro amici-paladini allo scambio di bordate e
accuse. Dall’unione che fa la forza agli stracci che volano.
Ma mai come in questo caso, val la pena fare un passo indietro. E, appunto, ricordare come nacque quella bella favoletta.
Era il 2009, Silvio
Berlusconi era ancora saldamente primo ministro, e di lì a poco - a
giugno precisamente - gli italiani sarebbero tornati a votare per il
Parlamento europeo. Di Pietro, per la sua campagna elettorale,
aveva scelto una strategia molto aggressiva: per il leader dell’Italia
dei valori, Berlusconi mica era un primo ministro e neppure un semplice
avversario politico. Era un aspirante “dittatore” (negli anni lo avrebbe
paragonato, dimostrando una certa fantasia, non solo ai classici
Mussolini e Hitler, ma anche a Videla, Saddam Hussein, e chi più ne ha,
più ne metta). In breve: il Cavaliere andava abbattuto ad ogni costo. Di
lì a poco - a luglio sempre del 2009 - Di Pietro e il suo partito
avrebbero perfino comprato una pagina dell’Herald Tribune per chiedere
alla comunità internazionale di intervenire (link).
Per fare che? Per scongiurare il rischio che “la nostra democrazia in
Italia” venisse “trasformata in una dittatura di fatto” (parole
testuali, queste tra virgolette, dell’appello di Di Pietro).
Ah.
Addirittura? Addirittura.
In attesa di abbatterlo, Di
Pietro, comunque, si preoccupava di battere il Cavaliere alle elezioni. O
comunque di ottenere un buon risultato per il suo partito. E così aveva
deciso di candidare per il Parlamento europeo questo trio d’attacco: De
Magistris, Vulpio e Sonia Alfano. Un trio che il leader dell’Italia dei valori non esitava a definire “italiani di valore di cui essere orgogliosi” (link). O anche “persone belle dentro” (altro link).
E via sviolinando e cercando, va da sé, di convincere gli italiani che
loro erano i candidati giusti da votare e che il suo partito mica era
come tutti gli altri. Era speciale. Era il partito degli onesti in un
Paese di corrotti. Un mantra che Di Pietro e i suoi avrebbero ripetuto
all’infinito. Urbi et orbi. Sfruttando a dovere anche i cosiddetti nuovi
media.
E infatti. Per moltiplicare i
voti, oltre ai toni aggressivi, l’ex pm di Mani Pulite aveva puntato
molto sulla rete, ossia internet. E si era affidato all’allora poco
conosciuto Gianroberto Casaleggio. Ex dipendente Telecom,
esperto di marketing on line, Casaleggio era il fondatore della società
web Casaleggio Associati che gestiva (e ancora gestisce) anche il blog
più famoso d’Italia, quello di Beppe Grillo. Secondo un articolo
pubblicato dal “Corriere della Sera” (link),
l’Italia dei valori, già nel 2008, spendeva per comunicare sul web ben
800mila euro all’anno. E buona parte di quei soldi finivano, appunto,
nelle tasche del mago del web Casaleggio. Soldi che non avrebbero
tardato a dare i loro frutti.
Fondata nel 2000, l’Italia dei valori-Lista Di Pietro non era mai andata oltre un magro 4% dei voti. E
negli anni trascorsi lontano dalla Procura di Milano l’immagine del suo
leader aveva finito per appannarsi non poco. Anche per colpa di una
famiglia, i Di Pietro, fin troppo unita. Dentro e fuori il partito. E
sì, perché, i Di Pietro, nell’Iddivì, son sempre abbondati. Cosa che il
quotidiano di centrodestra “Il Giornale” - in un articolo pubblicato
proprio a ridosso di quelle elezioni del 2009 (link) - non mancò di ricordare.
E che ricordò, in particolare? Per cominciare: che Di Pietro si era sposato due volte. E quindi: Isabella Ferrara - moglie numero uno - era, all’epoca, tesoriera regionale del partito in Lombardia. Mentre Susanna Mazzoleni in Di Pietro
- la moglie numero due - era uno dei tre soci unici della fondazione
Italia dei valori; fondazione che gestiva la cassa del partito e di cui
il marito, Di Pietro Antonio era ovviamente il presidente. Finito? Ma
neanche per idea. Perché Gabriele Cimadoro - marito di
Barbara Mazzoleni, sorella di Susanna, moglie numero due di Di Pietro -
era ed è deputato per l’Italia dei valori. Mentre Cristiano Di Pietro
era - al tempo delle ultime europee - consigliere comunale a Montenero
di Bisaccia, in Molise e consigliere provinciale a Campobasso.
Di Pietro Cristiano - figlio di Di
Pietro Antonio e della prima moglie, la tesoriera in Lombardia - nella
sua pur breve carriera politica era, per altro, già balzato all’onore
delle cronache in ben due occasioni. Prima occasione: quando da
consigliere provinciale chiese e ottenne di incontrare il ministro dei
Lavori pubblici per convincerlo a bloccare la costruzione di un parco
eolico; solo che il ministro, al tempo, era suo padre Antonio e
l’incontro suscitò ironia e sdegno (anno di grazia 2007, qui il link a un memorabile corsivo
firmato dal vicedirettore de La Stampa, Massimo Gramellini). Seconda
occasione: quando venne intercettato mentre cercava di raccomandare
professionisti amici al provveditore regionale (per Campania e Molise)
alle opere pubbliche (anno 2008; link). Un cursus honorum non proprio folgorante, diciamo.
Ma di questa strana “famiglia
politica allargata” e del fatto che Di Pietro, invero poco
democraticamente, era da sempre l’unico leader del partito che portava
il suo nome; si diceva: tutte queste cose, in quella campagna
elettorale, non ebbero il minimo peso. Del resto: c’era o non
c’era un Paese da salvare, un aspirante dittatore da fermare e tante
“persone belle dentro” da votare nel “partito degli onesti”?
Tanto più che tre anni fa, nonostante il
fatto che i sintomi di un imminente dissesto ci fossero tutti, la crisi
dell’Italia e dell’eurozona nell’orizzonte mentale degli italiani
nemmeno esisteva. E ogni voto si risolveva nel classico derby tra destra
e sinistra. In breve: si sarebbe dovuto discutere di Europa (e si fosse
stati un minimo preveggenti, appunto anche di crisi dell’Unione
europea), ma anche quelle elezioni europee furono il solito referendum
pro o contro Berlusconi.
E così: l’Italia dei valori volò: prese l’8%. Merito,
appunto, anche di Casaleggio che aveva reso assai popolare il blog di
Antonio Di Pietro, evitando di pubblicare grigi comunicati stampa, e
facendo invece parlare il leader Iddivì come un vero blogger; ossia in
prima persona, con post e video. Come Beppe Grillo. E come il blog di
Grillo, anche quello di Di Pietro aveva una parte dedicata alla
“informazione libera”: giornalisti inviati dell’Italia dei valori con la
loro telecamerina seguivano, per esempio, i processi all’aspirante
dittatore Berlusconi. E come Beppe Grillo, appunto, anche Di Pietro
avrebbe poi comprato una pagina dell’Herald Tribune. Il comico genovese
lo aveva fatto per denunciare la presenza di condannati nel Parlamento
italiano; Di Pietro per abbattere il governo del “dittatore” Berlusconi.
Messaggi e persone diverse. Un’identica strategia di marketing.
E proprio Beppe Grillo fu, in quella campagna elettorale, una sponda fondamentale per Di Pietro e i suoi.
Il trio d’attacco - De Magistris, Vulpio e Sonia Alfano - venne
ospitato e pubblicamente elogiato sul blog del comico genovese. E tanto
fu importante l’appoggio di Grillo e dei suoi grillini, che De Magistris
e Alfano, una volta eletti al Parlamento europeo, non mancarono di
ringraziare Beppe e gli amici del blog. “E’ stato un gioco di squadra
straordinario. Questo è un progetto che mette le fondamenta di un modo
nuovo di fare politica”, disse De Magistris in un video realizzato
appositamente per il sito di Grillo (link).
Lettori e fan di Grillo andarono in visibilio. E praticamente nessuno -
nessuno - sollevò alcun dubbio su quel groviglio di interessi che
correvano tra il comico fustigatore dei politici, il politico Di Pietro e
quel Casaleggio che gestiva i siti e la comunicazione di entrambi.
Unico neo: Vulpio, no, non ringraziò. Anche perché non era stato eletto. (1-continua)
Fonte: Bamboccioni alla riscossa
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Erano quattro amici (e prendevano un mucchio di voti)/2
Vulpio era stato, per anni, in forza al Corriere della Sera. E
da cronista giudiziario, aveva seguito e raccontato le inchieste “Why
not”, “Poseidone” e “Toghe Lucane”, ossia le principali indagini
condotte dell’allora pubblico ministero di Catanzaro, Luigi de
Magistris. Questo fino alla fine del 2008. Poi il suo giornale - o
meglio il suo direttore di allora, Paolo Mieli - decise, per così dire,
di “revocargli” l’incarico. Di De Magistris e delle sue inchieste tanto
controverse quanto scottanti su malapolitica e malagiustizia, Vulpio non
avrebbe dovuto scrivere più una riga.
Il giornalista del Corriere avrebbe potuto tacere e incassare. Ma non lo fece. Attraverso il suo blog, denunciò quello che gli era successo (link).
E le sue parole scatenarono una vera e propria ondata di indignazione
in rete (tanto che ne parlammo anche noi, in un vecchio post - link). Ma soprattutto: la sua vicenda guadagnò ampio spazio sulle pagine del blog del solito Grillo (link).
Benedetto dal comico genovese, Vulpio diventò - per molti fan di Grillo
e non solo - un vero e proprio alfiere dell’informazione libera. E in
breve, il giornalista che raccontando l’inchiesta Why not aveva
contribuito a far diventare famoso De Magistris divenne a sua volta una
celebrità, per lo meno sul web.

Di lì all’Iddivì, il passo fu relativamente breve. Dopo
nemmeno sei mesi dallo scontro con i vertici del suo giornale, Vulpio
era già - assieme a Di Pietro e al resto del trio d’attacco - al circolo
della stampa di Corso Venezia a Milano per presentare la sua
candidatura alle elezioni europee (link). Ma la sua campagna elettorale prese quasi subito una strana piega.
Come spiegò lo stesso Vulpio ai “Bamboccioni” (cioè, insomma a me - link): la macchina elettorale dell’Italia dei valori avrebbe cominciato, ad un certo punto, a boicottarlo. E
lo stesso avrebbe fatto il blog di Grillo. In breve: secondo Vulpio:
Grillo, Di Pietro&co non lo sostennero, anzi lo penalizzarono. Ne
seguì una lunga querelle tra lui e il partito che l’aveva candidato.
Vulpio sosteneva che il suo comportamento troppo “libero” era stato
maldigerito da certi personaggi poco cristallini dell’Iddivì e che
questo gli era costato l’elezione (e i lettori si tengano, per ora, la
curiosità su cosa il giornalista intendesse dire; lo spiegheremo tra
poco). Di Pietro restò sul vagò e gli promise un qualche incarico.
Sta di fatto che Vulpio non venne eletto e fu il primo dei quattro amici-paladini ad andarsene sbattendo la porta.
Per fare che? Inizialmente per tornare sui suoi passi, ossia al
Corriere (dove venne dirottato alle pagine della cultura). Poi - con una
bella piroetta - andò a lavorare alla corte del berlusconiano Vittorio
Sgarbi (è stato uno degli autori del flop tivù “E adesso ci tocca anche
Sgarbi”, durato una sola puntata). E da ultimo, sempre lui, Vulpio ha
pure firmato un libro intervista a Mario Masi, ex direttore generale
della Rai sempre in quota Cavaliere. Come dire: da un estremo all’altro,
ma sempre, s’intende, nel nome dell’informazione libera. Libera,
evidentemente, anche di fare tanti bei salti della quaglia.
Ma, appunto: cosa intendeva Vulpio quando parlava di “comportamento troppo libero”?
Proprio in quella sfortunata campagna elettorale, il giornalista del
Corriere aveva rilasciato una intervista al berlusconiano “il Giornale”
il cui titolo era tutto un programma: “Io epurato dal Corriere combatto i
banditi dell’Iddivì” (link). Per dire che? Per dire che l’Italia dei valori non era un partito diverso, era anzi proprio come gli altri. Con
parecchie mele marce e vecchi arnesi della politica di cui sarebbe
stato meglio sbarazzarsi al più presto. Ma davvero, davvero? Eccome.
Anzi Vulpio fu anche più tranchant: “In certe zone del Sud siamo messi
come gli altri. Se ci sono dei banditi dell’Idv, e ci sono, è meglio che
si tolgano dai coglioni…”, disse piatto piatto. Spiegando pure che ‘sti
banditi, però, promettevano voti sicuri al partito; voti di cui, però,
sarebbe stato meglio fare a meno.

Parole che forse gli costarono il posto al Parlamento europeo. Ma che, per certi versi, si rivelarono profetiche.
Un annetto dopo il governo
dell’odiato Cavaliere - odiato, s’intende, da Di Pietro&co - pareva
finalmente sul punto di cadere. Gianfranco Fini e i suoi minacciavano un
giorno sì e l’altro pure di uscire dalla maggioranza. E Berlusconi era
alla disperata ricerca di parlamentari disposti a sostenerlo. A furia di bussare a tante porte, alla fine qualcuno rispose. Era l’ex dipietrista Americo Porfidia.
Era il 29 settembre 2010. E
il Cavaliere, quanto mai in bilico, fu costretto ad andare alla Camera
per chiedere la fiducia e dimostrare di avere un numero di parlamentari
sufficiente a governare. Di Pietro, anch’egli presente in aula,
gli rispose da par suo, paragonandolo - nientepopodimenoche - a Nerone
che suonava l’arpa mentre Roma bruciava; e tirando a mano pure “la
massoneria deviata”, così tanto per abbondare (link).
Un discorso magistrale che, però, non convinse tutti. Non convinse i
finiani che votarono la fiducia e che avrebbero continuato a sostenere
il governo del Cavaliere ancora per un po’ (precisamente ancora per due
mesi, ossia fino al dicembre di quell’anno). Ma non convinse neppure
Porfidia che da bravo parlamentare eletto per l’antiberlusconiana Italia
dei valori votò la fiducia al governo di Berlusconi (e se non ci
credete, beccatevi pure ’sto link).
Porfidia, dunque. E chi era costui? Medico e sindaco di Recale, 8.000 anime nel casertano, Porfidia - come spiegò un vecchio articolo uscito sulle pagine de Il Sole 24 ore (link) all’epoca del suo passaggio ai berluscones -
era un uomo politico di provata esperienza. Dopo anni di militanza nel
CCD e nella CDU (insomma con gli ex democristiani di Casini,
Buttiglione&co), era passato fuggevolmente con l’UDEUR di Clemente
Mastella. E da lì, come fosse la cosa più naturale del mondo, appunto
all’Iddivì. Con l’ex pm di Mani Pulite e gli altri compagni del partito
degli onesti, Porfidia, forse, sarebbe pure rimasto. Se non fosse stato
per un piccolo inciampo: una indagine della Direzione distrettuale
antimafia che lo coinvolgeva.

L’indagine era iniziata nel
2007, ma la questione esplose solo due annetti dopo, ossia nel 2009,
quando ne parlò anche il Corriere della Sera (link). Porfidia per non imbarazzare il partito si autosospese dall’Italia dei valori e passò al gruppo misto. Ma era solo una questione formale. Il Sole 24 ore (link)
ricorda che Nello Formisano, coordinatore regionale per la Campania
dell’Iddivì e quindi conterraneo e amico di Porfidia, amava ripetere:
«Durante le dichiarazioni di voto, quando nel grande tabellone di
Montecitorio si accende una luce nel gruppo misto, so che uno dei nostri
vota come se stesse ancora nell’Idv». E sempre il Sole 24 ore ricorda
pure che il sindaco di Recale avrebbe continuato fino all’ultimo a
portare voti a Di Pietro&co: delle 180mila preferenze
incassate dall’Italia dei valori nelle elezioni regionali del 2010, ben
30mila sarebbero state merito di Porfidia.
Porfidia, con quel voto alla Camera
del 30 settembre 2010, fu il primo antiberlusconiano a convertirsi al
berlusconismo. Ma non sarebbe rimasto a lungo l’unico apostata. Nè il
suo fu il caso più clamoroso. (2 - continua)
P.S. Le ultime notizie che ho
riguardo Americo Porfidia sono che la Procura ha chiesto per lui il
rinvio a giudizio con l’accusa di tentativo di estorsione
aggravato dal favoreggiamento di un clan camorristico. La richiesta di
rinvio a giudizio risale al 21 aprile 2011 (link).
Non sono stato in grado di verificare se nel frattempo sia stato
assolto; o se, disgraziatamente per lui, sia stato condannato; o se il
giudizio sia ancora pendente. Se qualcuno ne sa più di me, lo prego di
scriverlo nei commenti. Sarò lieto di aggiornare il post.
Fonte: Bamboccioni alla riscossa
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Erano quattro amici (e prendevano un mucchio di voti)/3
Si diceva: il governo dell’odiato Cavaliere - odiato, s’intende, da Di Pietro&co - pareva finalmente sul punto di cadere. Gianfranco
Fini e i suoi minacciavano un giorno sì e l’altro pure di uscire dalla
maggioranza. E un giorno lo fecero veramente: era il novembre del 2010 (link).
Berlusconi e i suoi si misero alla
disperata ricerca di parlamentari disposti a sostenere il governo. Una
caccia all’onorevole condotta con mezzi leciti e fors’anche meno che
leciti. Ma un coraggioso deputato dell’Iddivì, il “partito degli onesti”
e delle persone “belle dentro”, non esitò a denunciare le trame dei
malefici berluscones. Si chiamava Antonio Razzi.
Abruzzese emigrato in Svizzera, ex operaio, Razzi era ed è un uomo semplice. E,
con grande semplicità, rivelò in una intervista di aver ricevuto una
vera e propria offerta in cambio del suo voto: “Si è parlato di pagarmi
il mutuo e darmi un posto nel Governo, ma la proposta più concreta è
stata la rielezione sicura” (qui il link).
Ah, però. E lui che aveva risposto a queste proposte, per così dire,
indecenti? “Ah io gli ho detto che sono stato eletto nell’Iddivì e tale
voglio rimanere fino alla morte. Anche perché è una questione di
rispetto per coloro che mi hanno votato. Io ho ricevuto 3.500 preferenze
- sottolineò Razzi con una certa fermezza e calcando ogni parola - e
chi glielo va a dire a queste 3.500 persone che sono stato comprato dal
partito di Tizio o di Caio?”.

Così disse Razzi. E con
altrettanta semplicità, proprio lui, Razzi - con uno spettacolare
triplo salto mortale carpiato - passò dall’Italia dei valori alla
maggioranza di Berlusconi. Dimostrando, però, di essere non
solo un uomo tutto di un pezzo, ma anche - verrebbe anzi da dire:
soprattutto - sincero. Non aveva forse detto che gli era stato offerto
anche un posto nel governo? Ebbene: dopo essere passato all’altra
sponda, divenne consigliere personale del ministro dell’Agricoltura,
Saverio Romano (link).
Dice: ma poi chi glielo è andato a dire ai 3.500 elettori del partito
degli antiberlusconiani duri e puri che Razzi aveva fatto il salto della
quaglia? Ma Razzi, ovviamente. Con una bella conferenza stampa (link). Facile, no?
Razzi, però, non fu l’unico a tradire la causa del partito degli onesti e degli antiberlusconiani. Altro illuminato sulla via di Arcore, fu il medico siciliano di Barcellona Pozzo di Gotto (e, ovvio, deputato Iddivì), Domenico Scilipoti.
Prima di diventare un insulto
- “Sei uno Scilipoti!”, “Non fare lo Scilipoti!” - Scilipoti non era
stato un semplice parlamentare in quota Italia dei valori. No, no. Come spiegò lo stesso Di Pietro al Corriere della Sera” (link):
era stato una autentico “kamikaze antiberlusconiano”, che negli anni
aveva ricoperto incarichi su incarichi per il partito (segretario
provinciale a Messina, tra il 2002 e il 2006; e vicesegretario
regionale in Sicilia, tra il 2004 e il 2006).

E poi? E poi - all’improvviso, diciamo - dopo l’illuminazione sulla via di Arcore, nacque un nuovo Scilipoti. Quello che parlava di sè in terza persona durante una imbarazzante intervista alla trasmissione radio “Un giorno da pecora” (link). Quello che pagava un gruppetto di immigrati per manifestare, con tanto di striscioni ad hoc, in suo favore (link).
Quello che scriveva un libro (titolo: “Scilipoti, il re dei peones”) e
lo presentava, da bravo “kamikaze antiberlusconiano”, con Berlusconi al
fianco (link).
Quello, infine, che con l’ex berlusconiano Alfonso Luigi Marra avrebbe
pure fondato il Partito di azione per lo sviluppo (PAS) contro lo
strapotere delle banche, il mondialismo e il signoraggio bancario (link).
Ma soprattutto con una testimonial di eccezione: la ex soubrette Sara
Tommasi che, alla conferenza stampa di presentazione del PAS - a
novembre 2011, a Roma - pensò bene di spogliarsi e mostrare il lato “B”
(e pure il lato “A”) a giornalisti e fotografi attoniti.
Le defezioni di Razzi e Scilipoti furono la chiave di volta che permise al Cavaliere di rimanere ancora una volta in sella.
E per Di Pietro fu un colpo durissimo: “Non posso nascondermi dietro un
dito, sento in me la responsabilità politica di due onorevoli che hanno
tradito il partito”, disse in una intervista al Corriere della Sera (link). Anche se la colpa, spiegò, mica era tutta sua. La colpa, va da sè, era soprattutto del principe del male Berlusconi: “Sono
stati eletti con i voti dell’ Idv e per oltre dieci anni sono stati più
antiberlusconiani di me. Il problema è cosa gli hanno fatto, alle menti
e al portafoglio. Ho denunciato il presidente del Consiglio come il
mandante piduista che ha organizzato la compravendita, un vero attentato
alla Costituzione”, spiegò affranto l’ex pm di Mani Pulite sempre al
Corriere.
Il mandante piduista. E vabbè. Ma
non era stato l’ex pm di Mani Pulite ora leader dell’Italia dei valori
ad aver scelto due voltagabanna del genere per il suo “partito degli
onesti”? E davvero non c’era nulla che potesse far presagire una simile
schizzofrenia politica? Nulla che potesse far pensare che Razzi e
Scilipoti più che ad alti ideali erano attaccati alle loro ambizioni, ai
soldi o al sogno di poltrone? Per alcuni quotidiani, soprattutto di
sinistra, qualcosa, in realtà, c’era. Il Fatto (link)
scoprì, per esempio, che Scilipoti aveva una discreta montagnola di
debiti da pagare (circa 200mila euro) e che questa questione dei debiti
gli aveva anche provocato non poche noie giudiziarie (per cui, tra
l’altro, Scilipoti è stato condannato in via definitiva nel 2011).
Ma al di là dei dubbi, rimaneva la figuraccia. Figuraccia che spinse quel che rimaneva della punta di diamante del partito dalle mani pulite a prendere carta e penna.
Sonia Alfano e Lugi De Magistris scrissero una lunga lettera aperta
indirizzata al loro leader Di Pietro. Per dire, con parole durissime che
(link)
nell’Idv oggi c’è una spinosa e scottante “questione morale”, che va affrontata con urgenza, prima che la stessa travolga questo partito e tutti i suoi rappresentanti e rappresentati.
Le ultime vergogne, come altrimenti chiamare il caso Razzi/Scilipoti, due individui che si sono venduti, quantomeno moralmente, in virtù di altri interessi rispetto alla politica e al bene pubblico, sono solo la punta di un iceberg che pian piano emerge nella realtà di questo partito. E come dimenticare lo scandaloso caso Porfidia, inquisito per fatti di camorra e ancora difeso da qualche deputato dell’Idv che parla di sacrificio a causa di “fatti privati”? (…)
Per questo oggi, con questo documento condiviso, rilanciamo la necessità di una brusca virata, e chiediamo al presidente Di Pietro di rimanere indifferente al mal di mare che questa provocherà in chi, un cambiamento, non lo vuole. In chi spera che l’Idv torni un partito del 4% per poterlo amministrare come meglio crede. Seggi garantiti, candidature al sicuro, contestazioni zero. Gente, questa, che non ha più alcun contatto con la base e rimane chiusa nelle stanze del potere, cosciente che senza questa legge elettorale mai sarebbe arrivata in Parlamento e che se questa cambiasse mai più ci tornerebbe.
Una “questione morale” nel partito degli
onesti. Porfidia, Razzi e Scilipoti solo “la punta di un iceberg”.
Accuse pesantissime che dipingevano un’Italia dei valori tutta diversa
da quella raccontata da Di Pietro ai suoi elettori.
L’eterno leader Idv rispose a muro duro (link) a chi, secondo lui, stava solo cercando di detronizzarlo e di fregargli il posto da segretario:
Alcune persone ci hanno lasciato, altre persone si sono dimostrate non all’altezza, a volte non all’altezza morale, della situazione, e noi le abbiamo anche espulse. Però, insisto, non è che chi critica ha sempre ragione. A volte chi critica è interessato a prendere lui stesso il posto di chi viene criticato
E fu così che anche il rapporto tra
quel che rimaneva dei quattro paladini che avevano fatto sognare milioni
di elettori a sinistra prese, sinistramente, a scricchiolare. (3 - continua)
Fonte: Bamboccioni alla riscossa
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Tra i commenti/1:
Tra i commenti/2:
-
poi sarebbe da capire perchè l’IDV si è infarcita di gente come Porfidia e De Gregorio …..
Ma ho l’impressione che questo lo scopriremo nel prosieguo del post ….
-
Allora aspetto di avere tutte le tessere del puzzle
-
Ho letto…. e che dire…..
Il rischio sarebbe quello di ricadere sempre nei medesimi discorsi….
Davanti alla denuncia dei capibastone (faudalesimo puro) che condizionano le scelte di fondo dei partiti in cambio di voti, e pronti a vendersial miglior offerente, non riesco a non pensare a Tomasi di Lampedusa…
Siamo sempre lì, davanti questa idra dalle mille teste che condiziona questo paese …..
Su internet, nei cosidetti blog della “casta anti-cavaliere” non trapelavano certe notizie, (per questo hanno ottenuto facilmente l’8%), l’unica notizia che rimbalzò fu quella delle raccomandazioni fatte dal figlio Cristiano verso alcuni amici, ovviamente tutti i blog anti-berlusca, cercarono di minimizzare l’accaduto, anzi dissero che non c’era nulla di strano, che l’accaduto non era poi così grave.
Alla luce di quanto riportato nel vostro articolo, ritengo che l’IDV non sia molto differente dalla Lega Nord (e da tutti gli altri partiti).
ancora Casaleggio ….. e non credo sia un caso, vero?
Il punto è secondo me: è solo uno spin doctor o ambisce a qualcosa in più?
Saluti
#Casaleggio.
Dunque. Ho sottolineato che dietro al successo dell’IDV alle europee del 2009 c’era il solito Casaleggio perché, sì, penso che sia una cosa importante.
Ma ho diviso questo lungo post in più parti. E perferirei riparlare di quest’argomento quanto avrò finito di pubblicare quel che ho ancora nel “cassetto”. Okay?
P.S. Mi rendo conto solo ora - dopo anni - che tutti mi chiamano Admin (che sta, credo, per administrator del sito) perché è questo il nickname che compare quando scrivo. Ma io mi chiamo Antonio (e faccio Cavaciuti di cognome). Potresti chiamarmi anche tu, così, visto che tra l’altro ci conosciamo elettronicamente da anni? E, che ne dici, cambio addirittura il nickname?
“Su internet, nei cosidetti blog della “casta anti-cavaliere” non trapelavano certe notizie”
E te credo! L’Iddivì sovvenzionava molti di questi blog! Come per altro ho già scritto…
http://bamboccioni-alla-riscossa.org/?p=6218
http://bamboccioni-alla-riscossa.org/?p=6228
Ricordi? Non fare il “paonazzo” e rispondi!
E a proposito di sovvenzionare. Mi par di ricordare che quando il Fatto arrivò in edicola aveva già 20mila - dicesi 20mila - abbonamenti venduti. Ecco: non è che niente niente qualche partito se ne era comprati un po’? Dico giusto così, per dire.
erano(e lo sono tutt’ora) articoli completi e molto precisi, me li ricordo. Beh che dire, il sig. Casaleggio è un guru/un genio, anzi è una divinità soprannaturale(peraltro ben retribuita) nel campo della comunicazione.
guarda, secondo me Casaleggio è davvero un genio della comunicazione. Mi ricorda - per talento, non per stile - il Berlusconi migliore, quello che fece decollare dal nulla - a metà anni Novanta - Forza italia. Lui usò le tivù, Casaleggio ha il web, ma un parallelo anche qui ci può stare.
Casaleggio però a differenza di Berlusconi è un uomo ombra (di sicuro molti non sanno nemmeno che aspetto abbia), mentre il cavaliere di (H)ar(d)core ci ha sempre messo la faccia.
però mi sa che se - dopo De Magistris e Casaleggio - mi scappa di paragonare qualcun altro a Silvio nostro, mi dovete dare un colpo di mouse in testa. Mi sembro un disco rotto…
Scherzi a parte. Hai ragione. Hanno ruoli diversi. Il Cavaliere è (anzi soprattutto: è stato) un front man. Casaleggio, invece, è un uomo “macchina” (che fa funzionare la macchina elettorale, intendo). Cose diverse. Ma il talento, solo quello, li accomuna.
non è questione di sembrare un disco rotto, è la realtà dei fatti
Poi, mi ha pure cacciato dal suo forum e cancellato i miei messaggi.
Come farebbe qualsiasi politico, of course.
Mi piacerebbe saperne di piu` di Casaleggio, davvero Grillo non scrive nulla dei suoi posts?
Matteo
#Grillo
Perché non provi a chiedere direttamente a lui? Beppe è un tipo alla mano, uno come noi, anche perché “uno vale uno”, no? Vedrai come ti risponde.