L’imputato Ciancimino: «Ho votato Grillo»
31 ottobre 2012
L’imputato Ciancimino: «Ho votato
Grillo» «Io e tutta la mia famiglia abbiamo votato per Grillo. Lui non
lo sapeva, perché altrimenti sarebbe tornato indietro a nuoto». Lo dice
Massimo Ciancimino, figlio del sindaco mafioso don Vito Ciancimino, e a
sua volta indagato per il tesoro del padre investito in una maxi
discarica a Bucarest e imputato nel processo sulla trattativa
Stato-mafia. A La Zanzara su Radio 24 muove pesanti attacchi a Crocetta:
«Per la Sicilia è un’occasione persa di cambiare radicalmente. Non
basterà per eliminare i forestali, non ha i numeri e sarà costretto ad
appoggiarsi ai soliti noti. Il voto mafioso? Basta vedere con chi è
alleato Crocetta, con l’Udc. Il voto mafioso e clientelare è ben
riconoscibile anche stavolta. Il presidente sarà limitato nelle sue
scelte. E a parte i grillini, io che sono un esperto di riciclaggio
posso dire che non ci sono facce nuove». «Ma quanti soldi ha
all’estero?», gli chiedono i conduttori. Risposta: «È un tesoro a mia
insaputa, perché non si riesce neppure ad avere una stima precisa da
parte della magistratura».
Fonte: L'Unità
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1 novembre 2012
Sicilia, la mafia si è astenuta - Perché?
In passato i detenuti facevano la fila per andare
alle urne. Oggi Cosa Nostra non ha voluto scegliere, e alle ultime
regionali l'astensione nelle carceri è stata pressocché totale. Per
esempio a Palermo, all'istituto di pena di Pagliarelli dove quasi tutti
i rinchiusi sono mafiosi, su 1.300 solo uno si è presentato al seggio
La mafia si è astenuta dal voto in questa tornata elettorale per eleggere il nuovo governatore e rinnovare del parlamento siciliano. Non sappiamo cosa possono aver fatto i mafiosi a piede libero, su quali scelte politiche si sono indirizzati. L'Espresso può però affermare con certezza che i boss detenuti hanno preferito non votare. E di solito i mafiosi detenuti fanno ciò che viene indicato da quelli ancora liberi. L'astensione così massiccia in tutta la Sicilia non era mai avvenuta anche fra i detenuti, tanto che i seggi aperti nelle carceri sono andati deserti. Nessuno di loro si è presentato a votare. Anche i mafiosi fanno dunque parte del popolo degli astensionisti che ha toccato quota 53 per cento.
Maurizio Crozza, nelle vesti del Padrino, apre la puntata del «Paese delle Meraviglie» su La7 con il successo in Sicilia del Movimento 5 Stelle. «Grillo chi, il comico?» chiede don Corleone, che poi sottolinea: «Nessuna mente criminale ci avrebbe mai pensato, prendersi la Sicilia partendo da Pippo Baudo». E poi: «Non vuole il ponte sullo Stretto e niente traghetti? E come ci è venuto Grillo in Sicilia, a nuoto?». (RCD - Corriere TV)
Fonte: Corriere

La mafia si è astenuta dal voto in questa tornata elettorale per eleggere il nuovo governatore e rinnovare del parlamento siciliano. Non sappiamo cosa possono aver fatto i mafiosi a piede libero, su quali scelte politiche si sono indirizzati. L'Espresso può però affermare con certezza che i boss detenuti hanno preferito non votare. E di solito i mafiosi detenuti fanno ciò che viene indicato da quelli ancora liberi. L'astensione così massiccia in tutta la Sicilia non era mai avvenuta anche fra i detenuti, tanto che i seggi aperti nelle carceri sono andati deserti. Nessuno di loro si è presentato a votare. Anche i mafiosi fanno dunque parte del popolo degli astensionisti che ha toccato quota 53 per cento.
Per far comprendere meglio ciò che è accaduto in Sicilia basta dire
che su 7.050 detenuti hanno votato solo in 46: si tratta di
carcerati comuni e non di mafia. All'istituto di pena di
Pagliarelli a Palermo dove si trovano rinchiusi i mafiosi, su 1.300
detenuti solo uno si è presentato al seggio elettorale, ed è in
custodia cautelare per reati che non sono quelli per mafia. Stesso
identico atteggiamento a Catania, Agrigento e Caltanissetta. Uno
scenario che ribalta, anzi trasforma ciò che in passato è stato
fatto proprio dai detenuti che facevano la fila in carcere per
votare il proprio candidato che in gran parte dei casi risultava
essere quasi sempre lo stesso o dello stesso partito.
Forse adesso i mafiosi sono rimasti a guardare. Si sono allontanati da questa competizione probabilmente per tanti motivi che forse un giorno qualche collaboratore di giustizia potrà spiegare.
Eppure in passato i mafiosi hanno sempre appoggiato il "cavallo vincente". Perché gli uomini di Cosa nostra hanno sempre avuto l'intuito di puntare sul candidato che avrebbe potuto farcela. I pentiti hanno sempre spiegato che la mafia non ha colore, e sta con chi ha il potere in mano. Una volta la scelta era obbligata, i capibastone si limitavano a consigliare il nome di qualche amico che merita.
Tutti sapevano comunque che il partito da votare era solo uno, la Democrazia cristiana, poi negli anni Novanta le intercettazioni e le inchieste giudiziarie hanno fatto emergere che la voce del popolo della mafia faceva votare in massa per Forza Italia. In ogni caso in passato c'era l'ordine di non mettere mai la croce sotto il simbolo della falce e martello. Le cose sono cambiate negli anni Ottanta, soprattutto nella città di Palermo.
Un pentito ha raccontato ai giudici delle famose terne e quaterne indicate dai boss di Corso dei Mille ai loro amici. Tutti candidati socialisti. Si diceva pure che dentro il carcere dell'Ucciardone le simpatie fossero concentrate sui radicali per le loro battaglie garantiste. Se si pensa che nel 1991, alle regionali di quel tempo la mafia controllava non meno di 500 mila voti. Più del 10 dieci percento dell'elettorato, una forza che poteva far saltare ogni equilibrio, che poteva aprire la strada verso i Palazzi della Regione a tanti amici degli amici. Mezzo milione di voti pilotati dai boss da una parte all'altra della Sicilia, quasi 200 mila quelli gestiti soltanto a Catania dalle cosche.
Negli anni Novanta non erano meno di sei, sette i consiglieri comunali eletti con i voti della mafia, e non sono meno di tre i consiglieri regionali che la mafia da Catania poteva portare alla Regione siciliana. Di 180 mila voti sicuri aveva parlato il pentito Antonino Calderone al giudice Falcone. Un paio di anni prima era stato un altro collaboratore della giustizia, Vincenzo Marsala, a fare i nomi di tutti gli onorevoli della provincia palermitana favoriti dai boss corleonesi.
Insomma, Cosa nostra in passato l'ha fatta da padrona. Fino alla scorsa tornata elettorale proprio per le regionali, quando le intercettazioni hanno svelato che alcuni deputati, così vengono chiamati in Sicilia i consiglieri regionali, avevano ottenuto voti dai mafiosi. O ancora boss che davano indicazioni per il politico da votare. Lo scorso maggio i detenuti delle carceri Pagliarelli e Ucciardone a Palermo si sono astenuti dal voto per eleggere consiglieri comunali e sindaco del capoluogo. Era il primo segnale lanciato nell'ultimo decennio dalla mafia a questa "nuova" politica. Adesso qualcosa sembra essere cambiato. E la cosa stupisce, perché Cosa nostra non si arrende così facilmente.
Forse adesso i mafiosi sono rimasti a guardare. Si sono allontanati da questa competizione probabilmente per tanti motivi che forse un giorno qualche collaboratore di giustizia potrà spiegare.
Eppure in passato i mafiosi hanno sempre appoggiato il "cavallo vincente". Perché gli uomini di Cosa nostra hanno sempre avuto l'intuito di puntare sul candidato che avrebbe potuto farcela. I pentiti hanno sempre spiegato che la mafia non ha colore, e sta con chi ha il potere in mano. Una volta la scelta era obbligata, i capibastone si limitavano a consigliare il nome di qualche amico che merita.
Tutti sapevano comunque che il partito da votare era solo uno, la Democrazia cristiana, poi negli anni Novanta le intercettazioni e le inchieste giudiziarie hanno fatto emergere che la voce del popolo della mafia faceva votare in massa per Forza Italia. In ogni caso in passato c'era l'ordine di non mettere mai la croce sotto il simbolo della falce e martello. Le cose sono cambiate negli anni Ottanta, soprattutto nella città di Palermo.
Un pentito ha raccontato ai giudici delle famose terne e quaterne indicate dai boss di Corso dei Mille ai loro amici. Tutti candidati socialisti. Si diceva pure che dentro il carcere dell'Ucciardone le simpatie fossero concentrate sui radicali per le loro battaglie garantiste. Se si pensa che nel 1991, alle regionali di quel tempo la mafia controllava non meno di 500 mila voti. Più del 10 dieci percento dell'elettorato, una forza che poteva far saltare ogni equilibrio, che poteva aprire la strada verso i Palazzi della Regione a tanti amici degli amici. Mezzo milione di voti pilotati dai boss da una parte all'altra della Sicilia, quasi 200 mila quelli gestiti soltanto a Catania dalle cosche.
Negli anni Novanta non erano meno di sei, sette i consiglieri comunali eletti con i voti della mafia, e non sono meno di tre i consiglieri regionali che la mafia da Catania poteva portare alla Regione siciliana. Di 180 mila voti sicuri aveva parlato il pentito Antonino Calderone al giudice Falcone. Un paio di anni prima era stato un altro collaboratore della giustizia, Vincenzo Marsala, a fare i nomi di tutti gli onorevoli della provincia palermitana favoriti dai boss corleonesi.
Insomma, Cosa nostra in passato l'ha fatta da padrona. Fino alla scorsa tornata elettorale proprio per le regionali, quando le intercettazioni hanno svelato che alcuni deputati, così vengono chiamati in Sicilia i consiglieri regionali, avevano ottenuto voti dai mafiosi. O ancora boss che davano indicazioni per il politico da votare. Lo scorso maggio i detenuti delle carceri Pagliarelli e Ucciardone a Palermo si sono astenuti dal voto per eleggere consiglieri comunali e sindaco del capoluogo. Era il primo segnale lanciato nell'ultimo decennio dalla mafia a questa "nuova" politica. Adesso qualcosa sembra essere cambiato. E la cosa stupisce, perché Cosa nostra non si arrende così facilmente.
Forse questa volta i mafiosi hanno intuito che a vincere poteva
essere Rosario Crocetta che fin da subito, anche per la sua storia
personale, ha tuonato contro Cosa nostra, e allora forse non era il
caso di avvicinarlo. Sta di fatto che a questa tornata elettorale
dalle carceri è arrivato un segnale diverso. Stare lontani da
questi politici. Forse vogliono stare a guardare alla finestra e
imboccare la porta d'ingresso dei politici quando sarà il momento
di fare affari. Si spera, in quel caso, che la politica abbia la
forza di tenersi lontana dalla mafia.
Fonte: Tafanus
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Maurizio Crozza, nelle vesti del Padrino, apre la puntata del «Paese delle Meraviglie» su La7 con il successo in Sicilia del Movimento 5 Stelle. «Grillo chi, il comico?» chiede don Corleone, che poi sottolinea: «Nessuna mente criminale ci avrebbe mai pensato, prendersi la Sicilia partendo da Pippo Baudo». E poi: «Non vuole il ponte sullo Stretto e niente traghetti? E come ci è venuto Grillo in Sicilia, a nuoto?». (RCD - Corriere TV)
Fonte: Corriere