lunedì 29 ottobre 2012

Grillo & M5S / Il referendum senza quorum visto dalla Costituente

Pubblicato il ottobre 24, 2012 di


Facendo tesoro del commento seguente, ho deciso di confutare la tesi di Grillo secondo cui una democrazia si realizza esclusivamente per il tramite dell’esercizio diretto della sovranità popolare.
L’eliminazione del quorum è quanto di più democratico e sensato possa fare una classe politica. Chi non va a votare e magari preferisce starsene a casa a vedere il Grande Fratello o banalità del genere non deve impedire agli altri l’esercizio del voto e conseguentemente del risultato! La vita democratica è partecipazione . Ho capito tardi perché a molti notabili ha sempre fatto comodo l’astensione , le non intercettazioni , la non trasparenza . Mi creda è veramente l’ora di finirla ; percepisco da alcune delle sue risposte in questo forum molto equilibrato, un certo suo nervosismo, cerchi piuttosto di convincere anche me e molti altri su questo punto fondamentale della democrazia partecipativa in assenza di vuoti politici ed istituzionali , siamo tutti in attesa di questi risultati siciliani che potrebbero cambiare veramente l’Italia, un cordiale saluto, Claudio (vedi qui).
Claudio, avrei un dovere di sintesi che non mi sento in questo ambito di violare. La sintesi in argomenti così complessi come la differenza fra democrazia rappresentativa e democrazia diretta è sempre deleteria perché obbliga a semplificazioni. Per evitare, cercherò di trattare un argomento per volta, il primo dei quali, come annunciato, è relativo al referendum popolare e alla proposta di Beppe Grillo di abolire il limite del quorum.

La riforma viene “venduta” sui palchi di mezza Italia come una rivoluzione: la svolta definitiva che realizzerebbe finalmente la democrazia diretta in Italia. Ma qualcuno, mentre ride alle battute del Comiziante, ha pensato quale conseguenza avrebbe questa riforma?

Qualcuno, a suo tempo, al momento cioè di scrivere quella norma, ci aveva già pensato. Si tratta dei nostri padri costituenti, le cui opere sono raccolte sul sito storico della Camera dei Deputati e sono accessibili a chiunque. La norma in questione è l’attuale articolo 75 della Costituzione (nei resoconti parlamentari era il numero 72), che qui vi ripropongo:
Art. 75.
È indetto referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati. La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. La legge determina le modalità di attuazione del referendum.
Questo articolo non è stato scritto casualmente. Il referendum popolare è uno strumento che potenzialmente può mettere in blocco un sistema democratico rappresentativo. Può impedire cioè alle istituzioni democraticamente elette di adempiere alla funzione legislativa. L’articolo originario proposto all’Assemblea costituente era radicalmente diverso:


Il referendum poteva colpire inizialmente tutte le leggi proposte in parlamento “dichiarate non urgenti”, una formulazione che è poi stata abbandonata. Si trattava di un referendum di tipo preventivo, o “di veto” su leggi dichiarate dal Parlamento non urgenti. Si trattava cioè di qualcosa molto simile a un potere di veto sulle leggi espresso direttamente per via popolare. Uno strumento evidentemente ispirato al modello della democrazia diretta, forse importato dalla Costituzione della Repubblica di Weimar, in cui il referendum legislativo poteva essere istituito in seguito alla richiesta di sospensione di una legge da parte di almeno un terzo dei deputati. Era una sorta di tutela delle minoranze, laddove la maggioranza avesse approvato leggi contrarie alla vigente opinione pubblica.

Fra i delegati dell’Assemblea Costituente c’era però un signore che si chiamava Palmiro Togliatti. Egli, relativamente al progetto di articolo 72 recante la disposizione sul referendum, disse che:


Il primo comma fu pertanto messo ai voti già durante la discussione preliminare in Commissione, ma l’emendamento che intendeva abrogarlo fu respinto poiché tale Luigi Einaudi sostenne che il pericolo di blocco del sistema legislativo fosse alquanto remoto, dato che sussisteva la clausola della non-urgenza della legge. Bastava che il Parlamento assegnasse in via preliminare questo status a tutte le leggi che intendeva non sottoporre al giudizio popolare e non si sarebbero verificati i pericoli che invece Togliatti aveva ben identificato.

Il comma fu abrogato durante la seduta plenaria. Il presidente della Commissione per la Costituzione, Ruini, una volta aperto il dibattito in Assemblea (era il 16 Ottobre 1947) disse che di questo strumento bisognava farne un “savio e corretto uso”, che significava, e significa tuttora, impiegarlo senza farsi sì che la sovranità popolare diventi di ostacolo all’altro organo istituzionale che il popolo concorre a formare, ovvero il Parlamento. In sostanza, la formulazione così come uscita dalla Commissione, rischiava di mettere in contrasto troppo frequentemente volontà popolari diverse (quella che vota per il Referendum e quella che ha votato per il Parlamento), entrambe legittimamente – ma in tempi diversi – costituitesi. Pensate a quanto siano volatili le opinioni pubbliche sulle varie materie della legislazione. Oppure: a quanto poco importi alla medesima opinione pubblica una legge schiettamente tecnica.


Cinquantamila elettori potevano essere chiamati a raccolta dai partiti di massa e convinti facilmente a firmare per referendum studiati apposta per essere strumento nella battaglia partitica. Quel limite, quello dei cinquantamila, diviene nel testo finale cinquecentomila. E’ un limite che ha causato lunghe discussioni in Assemblea plenaria, poiché alcuni politici come Grassi temevano che divenisse una “notevole remora”, un notevole elemento di dissuasione.

In ogni caso, essendo la sovranità soggetta a dei limiti (art. 1 comma 2, Cost. It: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”), gli strumenti che permettono al popolo di esercitarla direttamente, sono essi stessi soggetti a dei limiti. Il limite naturale del referendum è la medesima Costituzione, la quale prevede che il potere legislativo sia esercitato dalle due Camere, le quali sono a loro volta espressione della volontà popolare, che interviene nella loro composizione in libere elezioni a suffragio universale.

Una democrazia parlamentare si fonda sul sistema del check and balance, ovvero del controllo fra i poteri e dell’equilibrio fra i poteri. Eliminare il quorum dal referendum abrogativo eliminerebbe il balance fra sovranità popolari e metterebbe in mano a minoranze il potere abrogativo delle leggi. I padri costituenti, stabilendo al comma 2 che “non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”, ha ribadito nuovamente che la sovranità popolare non è illimitata e che il Sovrano non è legibus solutus. La sovranità è esercitata nelle forme e nei limiti della Costituzione. Perché non è ammissibile il referendum in materia tributaria? Perché il popolo non può legiferare su leggi che sono contrarie ai propri interessi. Così come non può decidere sui trattati internazionali, tramite i quali la Repubblica realizza la politica di pace contenuta nell’articolo 11 della medesima Costituzione. E’ per questa ragione che un referendum sull’Euro sarebbe inammissibile. L’Euro è stato istituito in seguito a un trattato internazionale, il cosiddetto Trattato di Maastricht, ed è attualmente parte dl pilastro più solido della integrazione europea, la miglior via per la pace che questo travagliato continente ha trovato nel secondo dopoguerra. Chi vi racconta di volere far votare il popolo sulla moneta unica, vi sta mentendo o è “costituzionalmente” ignorante.


Per le stesse medesime ragioni per cui i padri costituenti non ammisero il referendum preventivo sulle leggi ‘non urgenti’, così oggi noi dovremmo rifiutare la proposta-Grillo, a meno di non voler trasformare la vita legislativa di questo paese in una “Cambogia” ancor peggiore di quella attuale. Semmai, eventuali riforme dovrebbero andare nel senso di evitare che il Parlamento non sia più, come è accaduto in questi anni, il luogo di rappresentazione di interessi particolari, bensì sia ri-pubblicizzato (nel senso di orientato al bene pubblico). E per fare ciò si dovrebbe agire sulla legge elettorale, in primis.

In che modo l’astensione di una parte maggioritaria impedirebbe ad una minoranza “l’esercizio del voto e conseguentemente del risultato”? Che razza di diritto sarebbe mai questo? Non è una democrazia quel paese in cui le minoranze dettano le regole a maggioranze silenti. Semmai sono oligarchie, plutocrazie, dittature, ma non democrazie. La domanda di maggior partecipazione non può non essere colta, ma la partecipazione deve essere regolata. Il difetto sistemico più grave è che i soggetti preposti a indirizzare domande e sostegno da parte del sistema sociale verso il sistema politico, ovvero i partiti politici, sono sempre stati – volutamente? – lasciati in un limbo giuridico, né soggetti di diritto pubblico, né soggetti di diritto privato, ma in ogni caso gestiti come macchine per la produzione di consenso e la gestione di bacini di clientele elettorali.

Uno qualunque dei candidati a 5 Stelle che avesse avuto un minimo di cultura politica e giuridica, sentendo dal palco Grillo invocare l’eliminazione del quorum nei referendum, avrebbe dovuto (e sottolineo il dovuto) esprimere la propria contrarietà a questa proposta. Non si tratta di una mera opinione; si tratta di una idea che contrasta con i principi cardine del nostro sistema costituzionale, contenuti agli articoli 1 e 11. Per questo vado dicendo che Cancelleri, anche se ha avuto la parola sul palco, non ha fatto sentire la propria voce. La voce è qualcosa che distingue immediatamente tutti noi. La voce rimanda direttamente alla carne; “la voce esprime il chi e’ di ciascuno” (cfr. A. Cavarero). Ma la voce di Cancelleri non è la sua propria vera voce. Essa non racconta nulla di sé medesimo, della propria intenzione politica, ma è una voce imitativa che replica il solito refrain anticasta.

Sitografia:
[seguirà post sul Divieto di Mandato Imperativo, art. 67 Costituzione]

Fonte: Yes Political