Pubblicato il ottobre 24, 2012
di cubicamente

Facendo tesoro del commento seguente, ho deciso di confutare la tesi
di Grillo secondo cui una democrazia si realizza esclusivamente per il
tramite dell’esercizio diretto della sovranità popolare.
Claudio, avrei un dovere di sintesi che non mi sento in questo ambito
di violare. La sintesi in argomenti così complessi come la differenza
fra democrazia rappresentativa e democrazia diretta è sempre deleteria
perché obbliga a semplificazioni. Per evitare, cercherò di trattare un
argomento per volta, il primo dei quali, come annunciato, è relativo al
referendum popolare e alla proposta di Beppe Grillo di abolire il limite
del quorum.
La riforma viene “venduta” sui palchi di mezza Italia come una
rivoluzione: la svolta definitiva che realizzerebbe finalmente la
democrazia diretta in Italia. Ma qualcuno, mentre ride alle battute del
Comiziante, ha pensato quale conseguenza avrebbe questa riforma?
Qualcuno, a suo tempo, al momento cioè di scrivere quella norma, ci
aveva già pensato. Si tratta dei nostri padri costituenti, le cui opere
sono raccolte sul sito storico della Camera dei Deputati e sono
accessibili a chiunque. La norma in questione è l’attuale articolo 75
della Costituzione (nei resoconti parlamentari era il numero 72), che
qui vi ripropongo:
Questo articolo non è stato scritto casualmente. Il referendum popolare è uno strumento che potenzialmente può mettere in blocco un sistema democratico rappresentativo. Può impedire cioè alle istituzioni democraticamente elette di adempiere alla funzione legislativa. L’articolo originario proposto all’Assemblea costituente era radicalmente diverso:

Il referendum poteva colpire inizialmente tutte le leggi proposte in
parlamento “dichiarate non urgenti”, una formulazione che è poi stata
abbandonata. Si trattava di un referendum di tipo preventivo, o “di
veto” su leggi dichiarate dal Parlamento non urgenti. Si trattava cioè
di qualcosa molto simile a un potere di veto sulle leggi espresso
direttamente per via popolare. Uno strumento evidentemente ispirato al
modello della democrazia diretta, forse importato dalla Costituzione
della Repubblica di Weimar, in cui il referendum legislativo poteva
essere istituito in seguito alla richiesta di sospensione di una legge
da parte di almeno un terzo dei deputati. Era una sorta di tutela delle
minoranze, laddove la maggioranza avesse approvato leggi contrarie alla
vigente opinione pubblica.
Fra i delegati dell’Assemblea Costituente c’era però un signore che
si chiamava Palmiro Togliatti. Egli, relativamente al progetto di
articolo 72 recante la disposizione sul referendum, disse che:

Il primo comma fu pertanto messo ai voti già durante la discussione
preliminare in Commissione, ma l’emendamento che intendeva abrogarlo fu
respinto poiché tale Luigi Einaudi sostenne che il pericolo di blocco
del sistema legislativo fosse alquanto remoto, dato che sussisteva la
clausola della non-urgenza della legge. Bastava che il Parlamento
assegnasse in via preliminare questo status a tutte le leggi che
intendeva non sottoporre al giudizio popolare e non si sarebbero
verificati i pericoli che invece Togliatti aveva ben identificato.
Il comma fu abrogato durante la seduta plenaria. Il presidente della
Commissione per la Costituzione, Ruini, una volta aperto il dibattito in
Assemblea (era il 16 Ottobre 1947) disse che di questo strumento
bisognava farne un “savio e corretto uso”, che significava, e significa
tuttora, impiegarlo senza farsi sì che la sovranità popolare diventi di
ostacolo all’altro organo istituzionale che il popolo concorre a
formare, ovvero il Parlamento. In sostanza, la formulazione così come
uscita dalla Commissione, rischiava di mettere in contrasto troppo
frequentemente volontà popolari diverse (quella che vota per il
Referendum e quella che ha votato per il Parlamento), entrambe
legittimamente – ma in tempi diversi – costituitesi. Pensate a quanto
siano volatili le opinioni pubbliche sulle varie materie della
legislazione. Oppure: a quanto poco importi alla medesima opinione
pubblica una legge schiettamente tecnica.

Cinquantamila elettori potevano essere chiamati a raccolta dai
partiti di massa e convinti facilmente a firmare per referendum studiati
apposta per essere strumento nella battaglia partitica. Quel limite,
quello dei cinquantamila, diviene nel testo finale cinquecentomila. E’
un limite che ha causato lunghe discussioni in Assemblea plenaria,
poiché alcuni politici come Grassi temevano che divenisse una “notevole
remora”, un notevole elemento di dissuasione.
In ogni caso, essendo la sovranità soggetta a dei limiti (art. 1
comma 2, Cost. It: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita
nelle forme e nei limiti della Costituzione”), gli strumenti che
permettono al popolo di esercitarla direttamente, sono essi stessi
soggetti a dei limiti. Il limite naturale del referendum è la medesima
Costituzione, la quale prevede che il potere legislativo sia esercitato
dalle due Camere, le quali sono a loro volta espressione della volontà
popolare, che interviene nella loro composizione in libere elezioni a
suffragio universale.
Una democrazia parlamentare si fonda sul sistema del check and balance,
ovvero del controllo fra i poteri e dell’equilibrio fra i poteri.
Eliminare il quorum dal referendum abrogativo eliminerebbe il balance fra sovranità popolari e metterebbe in mano a minoranze
il potere abrogativo delle leggi. I padri costituenti, stabilendo al
comma 2 che “non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di
bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare
trattati internazionali”, ha ribadito nuovamente che la sovranità
popolare non è illimitata e che il Sovrano non è legibus solutus.
La sovranità è esercitata nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Perché non è ammissibile il referendum in materia tributaria? Perché il
popolo non può legiferare su leggi che sono contrarie ai propri
interessi. Così come non può decidere sui trattati internazionali,
tramite i quali la Repubblica realizza la politica di pace contenuta
nell’articolo 11 della medesima Costituzione. E’ per questa ragione che
un referendum sull’Euro sarebbe inammissibile. L’Euro è stato istituito
in seguito a un trattato internazionale, il cosiddetto Trattato di
Maastricht, ed è attualmente parte dl pilastro più solido della
integrazione europea, la miglior via per la pace che questo travagliato
continente ha trovato nel secondo dopoguerra. Chi vi racconta di volere
far votare il popolo sulla moneta unica, vi sta mentendo o è
“costituzionalmente” ignorante.

Per le stesse medesime ragioni per cui i padri costituenti non
ammisero il referendum preventivo sulle leggi ‘non urgenti’, così oggi
noi dovremmo rifiutare la proposta-Grillo, a meno di non voler
trasformare la vita legislativa di questo paese in una “Cambogia” ancor
peggiore di quella attuale. Semmai, eventuali riforme dovrebbero andare
nel senso di evitare che il Parlamento non sia più, come è accaduto in
questi anni, il luogo di rappresentazione di interessi particolari,
bensì sia ri-pubblicizzato (nel senso di orientato al bene pubblico). E
per fare ciò si dovrebbe agire sulla legge elettorale, in primis.
In che modo l’astensione di una parte maggioritaria impedirebbe ad una minoranza “l’esercizio del voto e conseguentemente del risultato”? Che
razza di diritto sarebbe mai questo? Non è una democrazia quel paese in
cui le minoranze dettano le regole a maggioranze silenti. Semmai sono
oligarchie, plutocrazie, dittature, ma non democrazie. La domanda di
maggior partecipazione non può non essere colta, ma la partecipazione
deve essere regolata. Il difetto sistemico più grave è che i soggetti
preposti a indirizzare domande e sostegno da parte del sistema sociale
verso il sistema politico, ovvero i partiti politici, sono sempre stati –
volutamente? – lasciati in un limbo giuridico, né soggetti di diritto
pubblico, né soggetti di diritto privato, ma in ogni caso gestiti come
macchine per la produzione di consenso e la gestione di bacini di
clientele elettorali.
Uno qualunque dei candidati a 5 Stelle che avesse avuto un minimo di
cultura politica e giuridica, sentendo dal palco Grillo invocare
l’eliminazione del quorum nei referendum, avrebbe dovuto (e sottolineo
il dovuto) esprimere la propria contrarietà a questa proposta.
Non si tratta di una mera opinione; si tratta di una idea che contrasta
con i principi cardine del nostro sistema costituzionale, contenuti agli
articoli 1 e 11. Per questo vado dicendo che Cancelleri, anche se ha
avuto la parola sul palco, non ha fatto sentire la propria voce. La voce
è qualcosa che distingue immediatamente tutti noi. La voce rimanda
direttamente alla carne; “la voce esprime il chi e’ di ciascuno” (cfr.
A. Cavarero). Ma la voce di Cancelleri non è la sua propria vera voce.
Essa non racconta nulla di sé medesimo, della propria intenzione
politica, ma è una voce imitativa che replica il solito refrain anticasta.
Sitografia:
Assemblea costituente 1946-1948
Seduta del 16 Ottobre 1947
Seduta della Commissione per la Costituzione del 29 Gennaio 1947
[seguirà post sul Divieto di Mandato Imperativo, art. 67 Costituzione]
Fonte: Yes Political