giovedì 18 ottobre 2012

Le prossime elezioni non si vincono in Rete (e Grillo lo sa)

[A cosa servono le ultime trovate di Grillo?

A partire dalla traversata a nuoto dello Stretto con pinne (classico esempio di nuoto stile libero da regolamento olimpionico), tutina termica dello sponsor (per proteggerlo dal freddo, d'altronde non facciamo noi lo stesso quando andiamo a farci una nuotatina al mare?) e barche a circondarlo (per proteggerlo da vento e correnti e nuotare proprio come se fosse in una grande piscina e non sullo Stretto), fino ad arrivare alla gara con chi ce l'ha più lungo con il grillino del PD Renzi?

Nient'altro che ad ottener visibilità sui media tradizionali: TV e quotidiani nazionali. 
Di fatto la maggior parte degli elettori in Italia è di età abbastanza elevata e ha poca dimistichezza con il web e il pc.
Alla faccia del tanto sbandierato mantra della salvifica Rete. 

(Anche perchè ormai nella rete, a parte i fanatici creduloni e gli ex-PDL, ci cascano davvero in pochi, e il Grillo sparlante viene sputtanato un giorno si e l'altro pure qualunque uscita faccia. 
Eh già. Questo è il bello rete! Che i cialtroni e i bugiardi vengono subito scoperti.
Nevvero siori Grillo e Casaleggio?)

Ci spiega la situazione il Nichilista in questi due post.]

Le prossime elezioni non si vincono in Rete

5 settembre 2012


Conosciamo il ritornello: «Le prossime elezioni si giocano in Rete». O, per dirla con Gianroberto Casaleggio, l’ideatore della «guerra» tra web e partiti: «Le prossime elezioni americane si vinceranno o si perderanno in Rete». Difficile sostenere ipotesi tanto nette, quando i dati riguardano una realtà così diffusa, multiforme. E quando i fattori in gioco – il peso delle notizie lette sui social media, dei programmi televisivi, delle circostanze contingenti, di imprevisti fuori e dentro la Rete – sono così tanti, e così intrecciati tra loro. Eppure due studi appena pubblicati sembrano incrinare la certezze di chi creda che Internet e i social media siano determinanti nell’indirizzare l’opinione pubblica. 


Tuttavia è qui che entra in gioco il secondo studio: il rapporto pubblicato dalla World Wide Web Foundation di Tim Berners-Lee. Nel Web Index 2012, un indicatore complesso che dettaglia il grado di penetrazione del digitale in termini infrastrutturali, ma anche socio-economici e politici, spicca una differenza sostanziale tra Stati Uniti e Italia proprio per quanto riguarda l’impatto politico di Internet sulla società. Nel caso degli States, il valore ottenuto è 92.54 su 100; per l’Italia, invece, solo 47.33 su 100. Se il dato della Web Foundation ha un qualche fondamento, l’idea che in Italia le cose vadano molto meglio che negli Stati Uniti rispetto a quanto documentato dai ricercatori del Pew è tutta da dimostrare. Quel che è certo è che Casaleggio ha torto quando sostiene che «la Rete è politica allo stato puro»: secondo lo studio del Pew, infatti, l’84% degli iscritti a social network dice di aver postato «poco o nulla» a carattere politico. Il che dovrebbe insegnarci anche ad apprezzare tutta la profondità del ‘Filtro‘: se la nostra bacheca pullula di contenuti politici, non significa che Facebook pulluli di contenuti politici, né tantomeno «la Rete». E non è detto che i numeri, come quelli forniti dalla collaborazione tra CNN e Facebook, abbiano un significato, né si traducano in voti. Ah, e il successo straordinario sui social media e sul web della chiacchierata di Obama con gli utenti di Reddit, così come la sua supremazia quantitativa nella presenza online, non ha impedito a Romney di avanzare nei sondaggi fino a raggiungere il pareggio e poi portarsi addirittura in vantaggio.


Insomma, la questione è più complessa, molto più complessa, di quanto sembra. E i social media e la Rete, forse, non sono determinanti come dice il ritornello.


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La triplice alleanza trollesca: il caso dell’invidia penis

17 ottobre 2012

«Non sto dicendo che i membri dei media siano troll», argomenta su The Atlantic Whitney Phillips, della New York University. «Suggerisco tuttavia che troll e media sensazionalisti abbiano più cose in comune di quanto vorrebbero ammettere». Un concetto tutto sommato semplice (entrambi fanno leva su reazioni emotive fondamentali per attirare l’attenzione, per esempio), che avevo provato a esprimere con Simone Spetia a Radio24 soltanto qualche giorno fa. Ma che si può e si deve a mio avviso comprendere in relazione al modo in cui la comunicazione politica abbia preso a sfruttare sistematicamente dinamiche tipiche del trolling.

Si prenda la giornata odierna, caratterizzata dalla polemica Grillo-Pd sull’invidia del pene. A iniziare è il comico, con un post sul suo blog che su Facebook aveva riassunto a questo modo:


Ecco l’esca, la chiave per cercare di attirare su di sé l’attenzione – possibilmente provocando e irritando il bersaglio, meglio se con argomenti non convenzionali («piccolo così…»). Insomma, nell’esempio Grillo è il troll. Ma i media che abboccano immediatamente – mettendo la «notizia» (ormai bisogna usare le virgolette per ogni cosa) in grande risalto – non sono meno troll di Grillo. Non ci sono «cascati», non hanno «abboccato». Sanno perfettamente che è una polemica sul nulla. Ma ne hanno bisogno per fare click, attirare contatti. E quindi la riprendono all’istante. Mentre sui social network gli utenti commentano, discutono, ironizzano, la «notizia» diventa insomma una notizia, senza virgolette. Il trolling è compiuto: il secondo attore diventa identico al primo.

Ma ce n’è un terzo, a sua volta identico al primo: la politica. Perché Grillo è un comico, ma è in quanto politico che propone questa operazione di trollaggio. E perché, una volta che i media sono stati al gioco, è il Partito Democratico a rilanciare la polemica sul suo sito con un post (dalla riuscita molto, molto discutibile) che fa il verso a Grillo:

 

ll risultato è stupefacente: il primo e il secondo partito in Italia sono invischiati – insieme ai loro elettori e a molti altri più o meno divertiti partecipanti in Rete – in un dibattito completamente privo di significato che ha pure la conseguenza, deprimente, di fare dell’invidia del pene un argomento politico.  Chi ci ha guadagnato? Beh, il troll-troll, che ha portato il discorso nella direzione che gli faceva più comodo (la polemica con Renzi su chi debba intestarsi la leadership dell’immagine del rinnovamento nel Paese); i media-troll, che possono beneficiare di un bel gruzzolo di contatti a fatica e tempo zero; e i politici-troll, anche se in questo caso credo ciò valga solo per Grillo – data la figura meschina rimediata dal Partito Democratico nell’abboccare alla trollata del comico, che avrebbe potuto tranquillamente ignorare con un’alzata di spalle.

[Per questo fantastico post di risposta si ringrazi la presenza di Renzi nel PD il quale sicuramente in questa polemica ci sguazzerà, date le sue difficoltà interne nel PD, non desiderando altro che aumentare la propria visibilità e non vedendo l'ora di spostare il dibattito su un terreno a lui più congeniale (vista la brillante idea in puro stile Grillo del pupazzo di D'Alema investito) piuttosto che parlare di cose serie e concrete che davvero interessino la qualità di vita e il futuro degli Italiani.
Oh grazie Grillo di aver dato così tanta visibilità all'uomo del PDL nel PD, nemico dei lavoratori e grillino quanto te! Se ne sentiva proprio la mancanza...]

Chi ci rimette, invece? Gli elettori, che si suppone vogliano risposte da chi si candida a rappresentarli su ben altro che le dimensioni del pene di Renzi, e i lettori, che forse meriterebbero un’informazione diversa. Anche se qui, naturalmente, non si vuole dimenticare che il tutto si regge sul fatto che sia agli elettori sia ai lettori tutto sommato, anche se magari non lo vogliono ammettere, abboccare a questa triplice alleanza trollesca piace eccome. Se non cliccassero, i troll sarebbero immediatamente sconfitti. Invece cliccano, eccome se cliccano.

Morale: deragliare il discorso, complice la viralità e la rapidità dei mezzi su cui discutiamo, non è forse mai stato così semplice. Ma c’è una soluzione: ignorare, ignorare, ignorare. Sì, si perde qualche risata e qualche indignazione a buon mercato. Ma forse, nel medio-lungo periodo, saremo in grado di riconsegnare il trolling alla sua natura giocosa, irriverente, eccessiva e non a questo squallido meccanismo di manipolazione dell’attenzione delle masse a scopi politico-economici.