domenica 15 luglio 2012

Beppe Grillo, condannato per omicidio colposo leader dei moralizzatori (con articoli sul V-day)

Lo si sapeva, ma il Venerdì di repubblica l’ha ricordato. Beppe Grillo è stato condannato con sentenza passata in giudicato per omicidio colposo. E’ stato infatti giudicato responsabile, naturalmente "per colpa" non per altro, della morte di due adulti e del loro bambino, per avere guidato imprudentemente un fuori strada che è precipitato in un burrone con le tre vittime imprigionate all’interno, mentre lui è riuscito a salvarsi. Una disgrazia, dunque, ma causata dall’imprudenza. Chi incorre in una vicenda come questa è sicuramente degno di pietas: un suo errore, una sua imprudenza l’hanno consegnato per tutta la vita a una colpa terribile …

L’unica cosa che si chiede a chi sia incorso in un tragico errore come questo, però, è che non si erga a moralizzatore. Invece no. Beppe Grillo si propone al paese come Masaniello contro una classe politica di immorali. Non può farlo. Lui, non può farlo. Quel suo errore terribile lo impedisce. Ed è incredibile che lui stesso, per primo, non lo comprenda e faccia finta di nulla. Lui che non vuole che in Parlamento seggano i condannati per corruzione. E i condannati per omicidio colposo come lui? Loro possono sedere in Parlamento? Tutto qui. Ed è triste che, per l’ennesima volta, tante persone seguano un leader di tal fatta. Una vicenda tutta italiana.
Chi è senza reato
da ilGiornale.it - 11 settembre 2007
Due vecchie notizie. La prima la demmo il 27 luglio scorso: Beppe Grillo resta intenzionato a fare un movimento politico e di ciò ha dibattuto lungamente con amici e famigli. I suoi spettacoli a pagamento diverranno insomma delle assemblee partecipative, e noi avremo un partito in più ma spenderemo qualche euro in meno. L’altra notizia è che il comicante, in ossequio alla sua proposta di scacciare i parlamentari condannati, non potrà candidarsi a sua volta: nel 1981 ebbe un incidente alla guida della sua Chevrolet Blazer e trascinò in un burrone un amico attore e due coniugi e il loro figlio di 9 anni. Si salvarono solo Grillo e l’amico attore. Il comicante fu condannato per omicidio colposo a un anno e tre mesi. Un triste episodio che Grillo avrà senz’altro patito, e che tuttavia, a nostro dire, non dovrebbe precludergli alcun diritto civile: ma l’intransigenza è sua. Nell’elenco del parlamentari che secondo la vulgata andrebbero scacciati, infatti, c’è gente condannata per reati ben più modesti di un omicidio colposo: resistenza a pubblico ufficiale, abuso d’ufficio, abuso edilizio in un dammuso di Pantelleria, persino diffamazione: reato compiuto anche da qualche giornalista che sabato sera ha cenato con lui.

Voce correlata:
Filippo Facci su YouTube - Il peggio del nostro Paese
Dettagli sull’imprudenza di Grillo che ha causato la morte di tre persone.
Lemuri.com
di Filippo Facci - 22 settembre 2007
da ilGiornale.it
Le demoscopie sul grillino medio si sono dispiegate, e la severa disponibilità di un gruppo nutrito di politici, aperti e cortesi dopo esser stati mandati affanculo a 300.000 watt, si va normalizzando. Non dispiacerà se dico qualcosa anch’io, visto che la famosa «rete» la conosco a sufficienza e scrivo e interloquisco sul secondo blog italiano. Primo: «la rete» non esiste, è così varia da equivalere a un target che vada dai 15 ai 50 anni. Secondo: a una grandissima parte di costoro il grillo comicante sta tremendamente sulle palle. Terzo: il popolo titillato da Grillo è il peggio di questo Paese e di qualsiasi Paese. Non c’è da capire o da intercettare: è una categoria dello spirito, sono i bruti e gli informi di Nietzsche, ignoranti nell’anima, invidiosi sociali. Odieranno sempre il politico e chiunque spicchi, perché nell’altrui compiutezza e appariscenza scaricheranno le colpe della loro mediocrità. Nulla basterà mai loro, neanche se un ministro guadagnasse 50 euro al bimestre e girasse in bicicletta blu. Presi da soli sono amebe annichilenti, in gruppo invece si fanno tipicamente squadristi, insultano, fanno mucchio, godono per chiunque rotoli nella polvere. Ovvio che un domani potrebbero farlo tranquillamente anche per Grillo.
L’Innominabile
by Auron, The Opinion - 9 settembre 2007
Nel nostro paese esistono persone che, in forza di niente e senza essere niente, entrano nella rosa degli Innominabili. Solitamente sono demagoghi, delinquenti, mafiosi, gente in cui ci si rispecchia perché rifiutano di confrontarsi, di dialogare, di accettare le idee altrui. Chiusi nella loro torre d’avorio con i loro fedeli adepti, questi Savonarola scuotono gli animi, i cuori, ci prendono in giro, si arricchiscono con i loro deliqui.
Beppe Grillo è uno di questi.
Il mio aver attaccato lui e ciò che rappresenta mi è infatti costato molte critiche, e alcune di queste non mi sono nemmeno state poste direttamente sul blog, mi sono arrivate per divina intercessione. Io tuttavia non ritratto su ciò che ho scritto: per quanto riguarda i condoni è facile documentarsi, si trovano molti articoli del 2005 ad esempio sul condono tombale che Grillo attaccò e cui poi aderì; per l’omicidio colposo plurimo ricordo che correva l’anno 1980, i morti furono tre, e colui che causò il mortale incidente era un uomo ricciuto che guidava a velocità sfrenata un macchinone di grande cilindrata.
Quell’uomo era Beppe Grillo, di Genova, fu condannato a tre anni dalla procura genovese, ed anche su questo esistono articoli.
Tuttavia non era questo che io di Grillo attaccavo: di Grillo attaccavo le idee. Idee ai miei occhi folli, e spiegavo anche perché, portando a testimone la stessa carta dei diritti umani (che potete consultare, ho detto quale era l’articolo della Carta che cozzava contro le idee di Grillo sul "Parlamento Pulito").
E’ un reato avere un’idea diversa dal comico genovese? La risposta, per molti, è si.
Quindi ecco fioccare attacchi sul dover preservare la persona, proteggerla: ma io non sono la balia di nessuno, il mio compito non è proteggere Grillo, io voglio solo dire quello che penso e quello che so in libertà. Inoltre ricordo agli adepti del comico che il primo ad attaccare le persone è proprio Beppe Grillo, che da anni si becca querele perché non fa altro che attaccare la gente con fare forcaiolo e raramente le idee che queste persone hanno (e se lo fa lo fa in modo bruciante e demagogico, senza accettare il confronto, parla appunto da Vate).
Non voglio che la pensiate come me, ma neppure essere costretto a pensarla come voi: quindi vi prego, se avete critiche di merito esprimetele, ma non mi dite di censurarmi per proteggere il vostro beniamino. Io non lo farò mai.
La piazza di Grillo tra politica e populismo
di Michele Serra - 9 settembre 2007
La giornata di ieri, nata da Internet, è anche un colpo all’idea di onnipotenza della tivù … Ma da qui in poi per lui e il suo movimento comincia il difficile. Altri sono finiti in niente dopo aver riempito le piazze …
LA COSA peggiore del "Vaffanculo Day" era il titolo, che dietro l’ammicco "comico" contiene tutta la colpevole vaghezza del populismo. (Vaffanculo, satiricamente parlando, è roba da Bagaglino, non da Beppe Grillo). Ma fermarsi alla crosta greve (e facile) non serve a capire, non aiuta a riflettere. Bisognerà, per esempio, ragionare un po’ meglio sul concetto di "antipolitica", alla luce del successo politico del raduno nazionale convocato dal cittadino Giuseppe Grillo in arte Beppe.
Piazza Maggiore gremita per il comizio del leader, decine di altre piazze italiane con la gente in coda per firmare una proposta di legge di iniziativa popolare fatta da tre punti secchi secchi: no alla presenza di condannati in Parlamento, ineleggibilità dopo due legislature, elezione diretta di tutti i candidati. A cominciare dalla piazza piena, luogo simbolico per eccellenza di tutte le cause politiche, sbocco tradizionale di tutti gli umori che da individuali vogliono farsi pubblici, la giornata particolare di Beppe Grillo e dei suoi tanti compagni di avventura è difficilmente inquadrabile, nel male e nel bene, se non dentro il difficile momento politico e civile del Paese.
Il manifesto di convocazione, nella sua indubitabile rozzezza (dire che "dal ‘43 a oggi in Italia non è cambiato niente" è, per dirla con Grillo, una notevole belinata), era di contenuto squisitamente politico. Almeno due dei tre punti in oggetto (negare ai condannati il diritto di rappresentare il popolo, impedire alle segreterie dei partiti di nominare di straforo i candidati senza passare attraverso il vaglio degli elettori) sono molto difficilmente liquidabili come "qualunquisti". Esprimono, al contrario, un’insofferenza per larga parte condivisibile e condivisa da milioni di italiani, molti dei quali (senza bisogno di vaffanculo) hanno appena fatto la coda per il referendum Segni contro questa indecorosa legge elettorale proprio perché non sopportano più il piglio castale e l’autoreferenzialità malata delle varie leadership di partito. E chiedono la partecipazione diretta dei cittadini alla scelta della propria classe dirigente.
Più controverso il terzo punto, perché non è detto che congedare un ottimo politico dopo due sole legislature coincida con il miglioramento della qualità professionale della classe politica (anzi). Ma quello che lascia il segno, vedendo decine di migliaia di cittadini mobilitarsi attorno a Grillo, alle sue drastiche parole d’ordine, al suo ringhio esasperato, perfino alla sua presunzione di Unto dalla Rete, è constatare, piaccia o non piaccia, che un uomo famoso ma isolato, popolare ma ex televisivo, antimediatico suo malgrado o fors’anche per sua scelta, sia in grado di mobilitare una folla che molti dei piccoli partiti, pur radicatissimi nei telegiornali e sui giornali, neanche si sognano.
La rappresentanza di Grillo e del suo blog, dopo la giornata di ieri, esce dal discusso limbo del virtuale e diventa così reale da riuscire a contendere spazio (anche nei telegiornali) alla poderosa, inamidata routine dell’informazione istituzionale. Va ricordato che ieri, mediaticamente parlando, non era una giornata facile per un outsider sbucato dal suo blog. C’erano i funerali di Pavarotti, moltissimo sport di sicuro impatto (Monza, il rugby, il calcio, il basket), e bucare la copertura mediatica, ritagliarsi uno spazio importante, irrompere nel dibattito non era facile. Grillo c’è riuscito facendo leva solo su Internet, sulla piazza virtuale nella quale ha da tempo installato il suo podio di artista e di polemista. E’ come se una pura ipotesi numerica si fosse materializzata di prepotenza, come se la qualità sfuggente di un’assemblea virtuale fosse diventata quantità evidente.
Questo costringe chi dubita della forza politica e culturale di Internet (compreso chi scrive) a rifare un po’ di conti, perché la giornata di ieri, e questo Grillo lo sa, è soprattutto un colpo all’idea di onnipotenza della televisione, una breccia nel muro, un indizio non decisivo ma importante a favore del peso che la rete ha via via acquisito nel determinare orientamenti e scelte di massa.
Di qui in poi, naturalmente, comincia il difficile, per Grillo e per il "suo" movimento. E’ proprio la natura rudemente politica delle richieste messe in campo che non consente comode ritirate nel mugugno o nello sberleffo. Si può essere genericamente riottosi o anche furibondi nella critica, ma una volta che l’umore raggrumato attorno a un leader popolare si fa piazza, si fa raccolta di firme, si fa manifestazione da titolo di telegiornale, muta la natura stessa della mobilitazione. Una proposta di legge non è una pasquinata, non è un gesto dell’ombrello contro il Palazzo, è un passo avanti dentro l’agorà, una pubblica assunzione di responsabilità.
Qui si misureranno il peso e il calibro di Grillo e del grillismo da un lato, e del "popolo dei blog" dall’altro: l’organizzazione del dissenso, la sua trasformazione in elemento di rottura e di rinnovamento, sono questioni che impegnano allo spasimo, dalla notte dei tempi, qualunque leader o partito o movimento, compresi molti di quei "professionisti della politica" che, per quanto casta o lobby o Palazzo, negli anni hanno via via dato voce a qualcosa di più che ai propri meri interessi personali. (Ed è proprio questa la debolezza di Grillo: l’indeterminato mugugno contro un "sistema" che contiene al suo interno diseguali responsabilità e diseguali idee rispetto agli assetti sociali, culturali, politici e istituzionali).
In altre parole, la rappresentanza della politica tradizionale è in crisi, ma sostituirla con altra politica è il solo metodo accertato di "cambiare lo stato delle cose", come già sapevano e dicevano i vecchi rivoluzionari. Amici e detrattori di Grillo, da oggi, seguiranno con mutata attenzione le sue mosse. Già altri movimenti impetuosi (da quello pro-giudici ai tempi di Mani Pulite ai girotondi a infiniti e ricorrenti subbugli studenteschi) sono finiti in niente dopo avere riempito piazze e giornali e telegiornali. E’ mancata, in quei casi, la capacità di trasformare in peso politico l’investitura popolare. Anche in questo caso non resta che aspettare. Cominciando, intanto, a prendere atto di una giornata non consueta, non facilmente incasellabile.
Il trionfo di Mr. Bean
Scarabocchiato da Mthrandir - 10 settembre 2007
Siamo un grande paese, checché ne pensino all’estero: sfido chiunque a trovare un precedente anche lontanamente simile a quanto abbiamo avuto la fortuna di vedere sabato scorso. Per quei due che non lo sapessero, sabato si è tenuta la più grande seduta psichiatrica collettiva che si ricordi a memoria d’uomo durante la quale decine di migliaia di frustrati inconsapevoli del senso delle loro azioni si sono consegnati anima e corpo ad uno dei più famosi ciarlatani che bazzica la rete. Piazza Maggiore a Bologna, vista in tivvù, aveva l’aria di una riunione dell’anonima alcolisti dove tutti si incoraggiano e si abbracciano ripetendosi: "Ce la puoi fare!", mentre sul palco la Wanna Marchi della politica scandiva le condizioni straordinarie riservate ai primi centomila che firmano alle quali si poteva acquistare l’elisir della salvezza.
Il Vaffanculo Day è stato un successone di pubblico, anche se sceneggiatura e testi dello show rivoluzionario devono essere stati scritti troppo in fretta visti i buchi e le incongruenze di una trama prevedibile che ha avvinto solo per le indubbie capacità istrioniche dell’attore protagonista.
Ai beppegrilli è piaciuta lo stesso perché, ormai, son diventati una chiesa e agli spettacoli ci vanno con lo stesso senso critico di chi si raduna in Piazza San Pietro ad ascoltare Ratzinger: portano le bandierine e i panini al sacco più per dire di esserci stati e di aver visto Dio che per ricavare dal tempo speso in refrattario ascolto qualche spunto di meditazione.
Ed era talmente evidente che quella massa di gente fosse lì in adolescenziale trans per il divetto di turno che lo stesso Grillo non ha potuto evitare di definirli la "Woodstock" del terzo millennio.
Nonostante siano sfuggiti agli spettatori, di spunti politicamente comici se ne son registrati a bizzeffe, con alcuni momenti della sacra rappresentazione degni di passare alla storia della commedia dell’arte.
E, da osservatore esterno, non sono stati quelli in cui si sono illustrati i punti fondamentali della legge di iniziativa popolare che dovrebbe schiodare dalle poltrone parlamentare quelli che non hanno i requisiti morali ed etici per rimenarvi seduti. Dopo l’invocazione a sbarazzarsi di coloro che, avendo commesso reati, sono stati condannati in via definitiva, si è fatta strada l’ipotesi di potervi includere anche coloro che hanno patteggiato e – udite! Udite! - coloro che hanno evitato la sentenza perché il reato ipotizzato risultava prescritto. E tutti a spellarsi le mani perché quel riferimento alla prescrizione era destinato non alla classe politica, ma a uno specifico rappresentante della medesima. Così, se qualcuno aveva un dubbio in merito alla possibilità di considerare la piazza come trasversalmente e autenticamente stanca delle prevaricazioni della casta, se lo è risolto immediatamente.
Eppoi il limite alla rieleggibilità fissato in due legislature, con effetto retroattivo: il giurista di Grillo ha fatto il master in Cambogia, evidentemente. Verrebbe da chiedersi se la liberta di scelta diretta del candidato non sia un poco in contrasto con questo limite perché riguarderebbe tutti, dai più meschinelli a quelli maggiormente dotati. Chissà se rinunciare per principio ad uno che vale in nome del turnover sia un provvedimento saggio o autolesionista. Alla piazza la sentenza, come si conviene in uno stato di diritto.
Ma è altrove che si son sentite le cose migliori, quando Grillo ha smesso le vesti del legislatore da fine settimana e si è riappropriato di quelle a lui più consone. La polemica con Mastella, colpevole di aver aperto un blog per rispondere ai deliri pubblicati sul suo, è stata un capolavoro di tafazzismo.
Secondo il Vate sarebbe inimmaginabile che altrove, ad esempio in Inghilterra, Gordon Brown si mettesse a discutere di politica con Mr. Bean, e ha ragione, ma nessuno dei presenti ha colto il grottesco della similitudine che, di fatto, trasformava i presenti al comizio italico in seguaci britannici dell’ipotetico Mr. Bean inglese. Roba che la manifestazione si sarebbe dovuta sciogliere immediatamente per palese inconcepibilità.
E il gran finale contro i partiti, stavolta in risposta a Santagata. Grillo dice che lui è per l’abolizione dei partiti e che non ha alcuna intenzione di crearne uno. Il che dimostra ampiamente quanto siano disposti a farsi prendere per il culo i suoi fedeli adoranti. Se il Divino, col seguito che ha, non è disposto a mettere in pratica ciò che predica ogni dì assumendosene la responsabilità politica, allora vuol dire che il suo è solo un gioco a chi la spara più grossa. O forse il gustoso contrappasso che gli tocca poiché, se sono ineleggibili tutti coloro sui quali grava una condanna passata in giudicato per aver commesso un reato, allora è giusto che se ne vada Visco col suo abuso edilizio, ma è altrettanto sacrosanto che non ci possa andare un comico condannato per omicidio.
Il Foglio. "Beppe Grillo"
di Claudio Cerasa - 11 settembre 2007
Il passaparola che ha costruito in rete vale di più del darsi la mano girando in tondo
"Vai Beppe, smerdali tutti". Ecco, il beppegrillismo funziona proprio così. E funziona bene, non c’è dubbio: lo capisci dai numeri dei suoi teatri, dalle firme dei suoi banchetti o dalle reazioni ai suoi commenti; ed è vero, si può dire che nel Day pride del comico genovese – quello di sabato scorso – non vanno confusi firmatari e manifestanti; si può anche dire che Grillo non è altro che un magnifico telepredicatore che in piazza e a teatro fa quello che Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo fanno, da quindici edizioni, in libreria; vero, ma c’è dell’altro. Perché il movimentismo di Beppe Grillo non ha nulla a che vedere con i rivoluzionari cordoni dei girotondi morettiani: lì, in quei casi, il movimentismo nasceva durante gli interminabili pomeriggi in cui ci si prendeva per mano attorno a un cavallo della Rai, ci si scambiava i numeri di telefono, ci si messaggiava di fronte al tg delle 20 ("hai visto!!, il mio striscione") e ci si commuoveva con un casca il mondo casca la terra e tutti giù per terra sui sampietrini di Montecitorio. Il beppegrillismo, invece, nasce in maniera completamente diversa. I girotondi attorno ai banchetti dei referendum beppegrilliani nascono tra blog, teatri, link, e grandi spettacoli; e dunque non nascono attorno a un cavallo della Rai, nascono prima; molto prima. Ed è per questo che sarebbe un errore sottovalutare, morettizzare o classificare Grillo come una sottospecie di fenomeno da baraccone controllato, o magari indirizzato, dai titoli dei tg o dalle prime pagine dei giornali. Non è così; perché il comico genovese è la perfetta evoluzione mediatica (e tecnologicamente teatrale) del consenso costruito con una scoppiettante gogna pubblica. Il motivo? Semplice. L’antipolitica di Beppe Grillo funziona, come scriveva qualche settimana fa il New York Times a proposito del libro "la Casta", perché "he names name", perché Grillo nomina i cognomi dei nemici e poi prende quei nomi e li fa penzolare dagli schermi dei suoi teatri. E funziona bene, funziona benissimo, perché le parole di Grillo sono depurate, o forse addirittura immunizzate, dal dipietrismo o dal travaglismo. Cioè: Grillo non ha un nemico singolo; Grillo non se la prende con il parlamentare, se la prende piuttosto con il Parlamento e ti dice che tu, gentile lettore, per me non sei un elettore, sei solo un amico, al massimo uno spettatore e dunque, fidati, io non ho interessi, io ti racconto la verità e ti spiego naturalmente che cosa non va. Semplice, no? Certo, anche Grillo fa i propri interessi: i suoi lettori sono anche i suoi finanziatori e la sua politica fa parte del suo spettacolo; ma le 300 mila firme di sabato (300 mila sono anche i contatti quotidiani sul suo blog; un numero spaventoso che vive senza aver bisogno dei giornali o dei tiggì), ecco, almeno per il momento, è difficile che quelle firme si trasformino in una crocetta in una scheda elettorale con un simbolo a forma di Grillo; è più probabile, semmai, che quelle firme si trasformino in un non voto "contro il sistema", "contro le aziende" e, ci mancherebbe, "contro la casta".
"Però è simpatico"
E se è vero che è difficile che Grillo entri in politica, è anche faticoso non riconoscere che i veri critici di Grillo si contano sulle dita di una mano. Semplicemente è un po’ troppo impopolare criticare un comico così popolare; è molto più semplice invece criticarlo – anche con violenza – e poi aggiungere di volta in volta un "ma" oppure un "però". Però "è simpatico" (Giulio Tremonti), però su alcune cose sono "assolutamente d’accordo" (Walter Veltroni). Però, però, però. Ed è anche semplice capire il motivo: andare contro Grillo, ora, è rischioso; sarebbe come voler difendere la casta, come voler dire sì a tutte quelle auto blu e a quei condannati in Parlamento. Ecco, Grillo è come se dicesse o di qua o di là. O contro i privilegi o a favore. O con la casta o contro; e chi non mi segue vuol dire che è proprio come tutti gli altri. E lo fa con contenuti molto più forti di un libro, di un comizio o di una lettera al Corriere. Perché se è difficile che Grillo trasformi in elettori i suoi lettori, come la mettiamo se un comico così popolare dovesse davvero iniziare a dare consigli su chi diavolo votare?
L’invasione barbarica di Grillo
di Eugenio Scalfari - 12 settembre 2007
HO VOLUTO aspettare qualche giorno prima di scrivere su Beppe Grillo e sul "grillismo". Ho letto le cronache, i commenti, le domande e le risposte. Ed ho riflettuto e ricordato. Infatti il fenomeno della piazza Maggiore di Bologna non è affatto una novità. In Italia c’è una lunga tradizione di "tribuni" e capi-popolo, un germe che ha messo radici da secoli e che rimane una latenza costante nell’"humus" anarcoide e individualista della nostra gente.
Quel filone - per fortuna - è mescolato con molti altri elementi: la nostra è una gente laboriosa, paziente, capace di adattamenti impensabili, generosa. Ad una cosa non si è mai adattata: a pensare e a comportarsi come partecipe d’una comunità, d’una struttura sociale con leggi e regole da rispettare anche quando sembrano danneggiare il proprio particolare interesse.
L’anarco-individualismo è un virus che corre sotto traccia ma spesso emerge ed esplode in superficie. I suoi avversari sono inevitabilmente sempre gli stessi: il potere costituito e il potere immaginato, quelli che fanno le leggi e quelli che le propongono e le attuano. L’anarco-sindacalismo è per definizione il nemico dell’autorità. Può rappresentare una necessaria valvola di sfogo quando provoca l’insorgenza contro regimi autoritari e dittatoriali (ma avviene di rado); ma diventa anacronistico in regimi di diffusa democrazia dove esistono forme di opposizione e di denuncia più efficaci e molto più civili di quella di radunarsi o marciare dietro cartelli con su scritto "Vaffanculo".
Non sono affatto d’accordo su quanti dicono che il "Vaffa-day" è solo un dettaglio folcloristico dovuto alla dimensione comica del primo attore. La forma - specie nella vita pubblica - è sostanza e chi inneggia al "Vaffanculo" partecipa consapevolmente a quelle invasioni barbariche che connotano gran parte della nostra mediocre e inselvaggita attualità.
È vero che la classe dirigente nella sua interezza ha reso plausibili anche le critiche più radicali. Soprattutto quella di non aver fornito alla società un esempio e un punto di riferimento capace di orientare il pubblico verso la ricerca del bene comune e della felicità propria e altrui.
Ho letto il commento di Fausto Bertinotti al raduno dei "grillisti" e ai tavoli per la raccolta della firme sotto la proposta di legge sponsorizzata da Grillo. Bertinotti ha sempre privilegiato la società rispetto alle istituzioni, la piazza rispetto al governo. Ma tenendo fisso il criterio dell’insostituibilità dei partiti, che lui vede come laboratori ideologici specializzati nella cultura dell’ossimoro. Che però volesse cavalcare il "grillismo" - sia pure con tutti i distinguo - questa è un’assoluta novità. Bertinotti esalta "l’esistente" affermando che è inutile polemizzare con esso. Fossero vivi i fratelli Rosselli ed Ernesto Rossi, avrebbero di che rispondergli su questo delicatissimo argomento.
All’entusiasmo "grillista" di Di Pietro non c’è invece da far caso. L’ex sostituto procuratore di Milano confonde - e non è la prima volta - Mani pulite con il giustizialismo di piazza e non si accorge che così facendo fa un pessimo servizio alla lotta che il Tribunale di Milano impegnò nel ‘92 contro la pubblica corruttela e contro i corruttori, i concussori, i corrotti che erano diventati da singoli casi giudiziari reati di massa pervadendo e deformando l’intero sistema degli appalti e insidiando le basi stesse della democrazia.
Ma Di Pietro, si sa, non va per il sottile. Non c’è andato neppure nella scelta dei candidati del suo partito, come purtroppo si è visto. Cerca sgabelli sui quali salire. Ma Grillo - questo è certo - non è sgabello se non di se stesso, come mezzo secolo fa capitò a Guglielmo Giannini: quando il suo "Uomo qualunque" mandò in Parlamento trenta deputati furono in molti a tentar di mettervi le mani sopra, la Dc, i liberali, i monarchici. Non ci riuscirono e ben presto tutto si ruppe in tanti pezzetti.
Movimenti d’opinione di natura antipolitica, come quello di cui stiamo discutendo, e rompono dal seno della società e poi declinano rapidamente. La politica non è un’invenzione di qualche mente corrotta o malata, ma una categoria della vita associata. Il governo della "polis", cioè della città, cioè dello Stato. L’antipolitica pretende di abbattere la divisione tra governo e governati instaurando il governo assembleare. L’"agorà". La piazza. L’equivalente del blog di Internet. Infatti la vera novità del "grillismo" è l’uso della Rete per scopi di appuntamento politico (o antipolitico).
Ma nella Rete si vede più che mai il carattere personalizzato dell’"agorà"; di ogni "agorà". Da quella di Cola di Rienzo a quella di Masaniello, da quella di Savonarola a quella di Camillo Desmoulins. Il blog ha infatti un’intestazione ed è l’intestatario che indica la via, che formula gli slogan, che produce gli spot. E’ lui insomma il padrone di casa che guida e domina l’assemblea.
In realtà il governo assembleare è sempre stato una tappa, l’anticamera delle dittature. La storia ne fornisce una serie infinita di conferme senza eccezione alcuna. Proprio per questo quando vedo prender corpo un movimento del tipo del "grillismo" mi viene la pelle d’oca; ci vedo dietro l’ombra del "law & order" nei suoi aspetti più ripugnanti; ci vedo dietro la dittatura.
Non inganni lo slogan "né di destra né di sinistra". Si tratta infatti di uno slogan della peggiore destra, quella populista, demagogica, qualunquista che cerca un capo in grado di de-responsabilizzarla.
Il più vivo desiderio delle masse, cioè dell’individuo ridotto a folla e a massa, è di essere de-responsabilizzato. Vuole questo. Vuole pensare e prendersi cura della propria felicità delegando ad altri il compito di pensare e decidere per tutti. Delega in bianco, semmai con una scadenza. Ma le scadenze, si sa, sono scritte con inchiostri molto leggeri che si cancellano in breve tempo. Il potere, una volta conquistato, ha mille modi per perpetuarsi.
L’antipolitica è sempre servita a questo: piazza pulita per il futuro dittatore. Che non sarà certo uno come Grillo. Il dittatore quelli come Grillo li premiano e poi li mettono in galera. E’ sempre andata così.
Spero che molti abbiano letto il discorso pronunciato da David Grossman all’apertura del Festival della letteratura a Berlino, che Repubblica ha pubblicato nel numero di mercoledì 5 settembre. E’ un testo di grande significato e di grande stile e mi permetto di raccomandarne la lettura ed anche la rilettura perché merita d’esser meditato e possibilmente trasformato in propria sostanza.
Mi spiace rimescolare l’alta prosa di Grossman a questioni tanto più mediocri e volgari come il raduno dei sostenitori di "Vaffa". Ma quel pensiero e il testo che lo contiene toccano tra le tante altre cose anche il tema della riduzione dell’individuo a massa, lo schiacciamento dell’individuo, il suo divenire succube di slogan inventati per imporli a lui che inconsapevolmente li adotta e se ne compiace.
Quel tema è l’aspetto drammatico della civiltà di massa, della società di massa e dei "mass media" che ne diffondono l’immagine sovrapponendola all’immagine individuale. Un aspetto al quale è difficilissimo sottrarsi perché ci invade e ci pervade quasi in ogni istante della nostra esistenza. La modernità porta con sé questo virus micidiale: la riduzione dell’individuo a massa, materiale malleabile e plasmabile, materia per mani forti e dure. La massa riporta gli adulti all’infanzia e alla sua plasmabilità. Alla sua manipolazione. Questo - in mezzo a molte virtù innovative - è il delitto della modernità, il virus dal quale bisogna guardarsi e contro il quale bisogna mobilitare tutti gli anticorpi di cui disponiamo.
Ma ascoltiamo Grossman.
"Ci fa comodo, quando si parla di responsabilità personale, far parte d’una massa indistinta, priva di volto, d’identità e all’apparenza libera da oneri e colpe. Probabilmente è questa la grande domanda che l’uomo moderno deve porsi: in quale situazione, in quale momento io divento massa?"
"Ci sono definizioni diverse per il processo con il quale un individuo si confonde nella massa o accetta di consegnarle parti di sé. Io ho l’impressione che ci trasformiamo in massa nel momento in cui rinunciamo a pensare, a elaborare le cose secondo un nostro lessico e accettiamo automaticamente e senza critiche espressioni terminologiche e un linguaggio dettatoci da altri".
"I valori e gli orizzonti del nostro mondo e il linguaggio che lo domina sono dettati in gran parte da ciò che noi chiamiamo "mass media". Ma siamo davvero consapevoli del significato di questa espressione? Ci rendiamo conto che gran parte di essi trasformano i loro utenti in massa? E lo fanno con prepotenza e cinismo, utilizzando un linguaggio povero e volgare, trasformando problemi politici e morali complessi con semplicismo e falsa virtù, creando intorno a noi un’atmosfera di prostituzione spirituale ed emotiva che ci irretisce rendendo "kitsch" tutto ciò che tocchiamo: le guerre, la morte, l’amore, l’intimità. In molti modi, palesi o nascosti, liberano l’individuo da ciò di cui lui è ansioso di liberarsi: la responsabilità verso gli altri per le conseguenze delle sue azioni ed omissioni. E’ questo il messaggio dei "mass media": un ricambio rapido, tanto che talvolta sembra che non siano le informazioni ad essere significative ma il ritmo con cui si susseguono, la cadenza nevrotica, avida, commerciale, seduttrice che creano. Secondo lo spirito del tempo il messaggio è lo "zapping"".
Grillo alla festa dell’Unità, imbarazzo ds
di Gianni Santucci - 12 settembre 2007
da Corriere della Sera
Il capo-popolo del «vaffa» che urla «io i partiti li voglio distruggere», l’Inquisitore che sentenzia «i partiti sono un cancro», il comico blogger che dal suo sito attacca «gli intellettuali con il cuore a sinistra e il portafoglio a destra», ecco, proprio lui, sabato sera salirà sul palco della più longeva e radicata festa di partito italiana. Beppe Grillo alla Festa dell’Unità di Milano. Spettacolo: «Reset». Costo: 20 euro, più 2 di prevendita. Esito della serata, scontato: tutto esaurito. E nuovi malumori per chi, politici di destra, ma soprattutto di sinistra, dopo l’adunata oceanica del «V-Day» non smettono di chiedersi: cosa farà di questo consenso? Che effetto avrà l’ondata di antipolitica partita da Bologna?
Grillo, pur eclettico, pur imprevedibile, alle feste dell’Unità l’hanno sempre accolto a braccia aperte. Non è etichettabile, d’accordo. Ma resta il fatto che un bel po’ di cose di sinistra le ha sempre dette. E ora, con le sue sparate a zero, e a 360 gradi? La sinistra (milanese e no) trema. Il presidente della Provincia di Milano, Filippo Penati (Ds) spiega però serafico: «Grillo è una presenza ricorrente, è già venuto altri anni». E quindi? «Logico che torni. Anzi, sarebbe grave se non gli fosse consentito di dire ciò che pensa». E se sarà contro i Ds? «C’è sempre il diritto di replica».
In questi giorni il comico genovese ha ricevuto appoggi e accuse. L’esperienza bolognese diffonde però un timore nuovo: possibili imbarazzi. Piazza Maggiore docet: Grillo dal chiostro di Palazzo D’Accursio, prima dello spettacolo, ha definito il sindaco Sergio Cofferati un «funzionario di partito» e un «acchiappavoti». E allora la domanda è: anche a Milano sparerà addosso ai padroni di casa, i Ds organizzatori della Festa?
Marilena Adamo, capogruppo dell’Ulivo in Comune, sorride: «Non si può sperare che la satira sia sempre sugli avversari». E quindi, i diessini milanesi andrebbero a prendersele anche di persona le bordate contro i «partiti-cancro»? «Se non avessi un altro impegno andrei», risponde Penati. Pur sapendo che l’attacco potrebbe arrivare proprio là in platea? «Sarebbe scorretto - scherza il presidente - perché non avrei il suo stesso acume e rapidità per ribattere». Penati spiega che in generale «sarebbe meglio allentare il clima di tensione intorno a Grillo». E aggiunge: «Se la politica si sente minacciata, la domanda è: "facciamo bene fino in fondo il nostro mestiere?". Perché lui, questo è indiscutibile, il suo mestiere lo sa fare benissimo».
Intorno allo show milanese di sabato si è addensato nelle scorse settimane anche un piccolo giallo. Perché a luglio, sui primi manifesti della festa attaccati ai muri della città, erano previste tre date. Tre date compaiono ancora sul programma online (evidentemente non aggiornato). Alla presentazione ufficiale dell’evento le serate sono diventate però due. Infine, dieci giorni fa, è rimasto un solo appuntamento, quello di sabato prossimo. «La data è sempre stata una», commenta lo staff del comico. Ma altre voci raccontano di una prevendita che (prima del V-Day) non decollava.
Sabato invece sarà uno show amplificato e stracolmo. «L’unico elemento discutibile del personaggio Grillo - continua Marilena Adamo - è capire se si approfondirà ancora questo passaggio da fustigatore dei costumi ad animatore di iniziative sempre più politiche. A quel punto dovrà scegliere anche lui da che parte stare». Un aiuto a capire potrebbe venirgli proprio dalla festa dell’Unità. Perché secondo altri vertici dei Ds milanesi, sabato sera Grillo potrebbe anche trovare qualcosa che lo faccia ricredere: «I partiti che vengono demonizzati - spiega il segretario della federazione milanese dei Ds, Franco Mirabelli - sono anche questo: migliaia di volontari che offrono l’opportunità anche a Grillo di esprimere le sue opinioni e di esibirsi come artista. La festa dell’Unità è espressione di un partito come luogo di confronto e partecipazione». Gli fa eco il segretario cittadino, Pierfrancesco Majorino: «Forse i partiti non sono così da buttare se ospitano spettacoli come quello di Grillo. La politica però deve concentrarsi su altro: ricostruire la propria forza e autorevolezza».
Apertura alla satira, dunque. Anche contro il nascente Partito democratico, che il comico ha bocciato senza appello. Il candidato alla guida del Pd lombardo, Maurizio Martina, esordisce spiegando che «lo spazio della satira è aperto a tutti». Aggiunge: «Il confronto non fa paura, le cose si conoscono meglio da vicino». E conclude indicando il «punto vero»: «Ad alcuni temi noi dobbiamo rispondere con la riforma della politica».
Luttazzi: Beppe populista, fa flash mobbing
di Lorenzo Salvia - 13 settembre 2007
da Corriere della Sera
La sfida tra i «censurati»
Hanno fatto parte tutti e due della nazionale censurati: Beppe Grillo dopo la storiella sui socialisti in Cina (Fantastico 7), Daniele Luttazzi per l’intervista a Marco Travaglio su Berlusconi (Satyricon). Hanno danzato a lungo sulla sottile linea rossa che divide la satira dall’impegno. Adesso - dopo l’8 settembre del vaffa … e la manifestazione di Bologna - le loro strade si separano. Daniele Luttazzi attacca Beppe Grillo. Critica nel merito il suo disegno di legge popolare, «fa acqua da tutte le parti». E lo accusa di fare «populismo», di «pensare che una legge possa risolvere la pochezza umana, e questa è demagogia».
Non c’è nemmeno una parola di apprezzamento nelle tre pagine che Luttazzi ha inviato al sito internet di Micromega. No al limite di due legislature proposto da Grillo perché «l’esperienza può essere utile». No al divieto di elezione per chi è condannato in appello perché «i gradi di giudizio sono tre e il problema è la lentezza della giustizia». E no anche al terzo punto della legge d’iniziativa popolare, il più popolare persino fra i politici: quel ritorno al voto di preferenza che, secondo Luttazzi, in passato «non ha impedito ai partiti di far eleggere chi volevano né impedito di scegliere autentici filibustieri».
Fin qui il merito. Ma le parole più appuntite devono ancora arrivare. E colpiscono proprio con quello stile alla David Letterman che Luttazzi ha portato a casa nostra: «Di Pietro aderisce alla sua iniziativa e Grillo dice che è uno per bene. Brrrrrr. Quindi chi non la pensa come Grillo non lo è? Populismo». E ancora: «Se parli alla pancia, certo che riempi le piazze, ma non è democrazia dal basso: è flash mobbing». Fino all’accusa di «ambiguità» perché «vuole ergersi a leader di un movimento politico, continuando a fare satira, un passo che Dario Fo non ha mai fatto».
Con un invito finale che sa di sberleffo: «Scegli, Beppe! Magari nascesse il tuo partito. I tuoi spettacoli diventerebbero davvero dei comizi e nessuno dovrebbe pagare il biglietto. Oooops». Sembra esserci qualcosa di personale. E forse c’è. Quando tempo fa Luttazzi aprì il suo blog dove parlava anche di politica in molti gli scrivevano per invitarlo ad «unire gli sforzi con Grillo», e dare insieme a lui una «lezione alla politica».
Lui ha sempre declinato, preferendo rimanere in seconda linea. L’anno scorso a Padova, durante uno spettacolo di Luttazzi, i fan di Grillo invasero il palazzetto di volantini con la scritta wanted e le foto dei politici condannati. Luttazzi li fece togliere. Quello che teme è essere confuso e fuso con il comico genovese che, forse, in caso di alleanza gli ruberebbe la scena. Anche ieri Grillo è tornato a difendere la sua manifestazione: «Altro che antipolitica - ha scritto sul suo blog - quel popolo andrebbe ringraziato. È la valvola di sfogo di una pentola a pressione che potrebbe scoppiare. Un momento di tregua per riflettere sul futuro, un momento di democrazia».
Poi cita un’altra persona che ha danzato a lungo su quella linea sottile che divide satira e impegno: «La libertà è partecipazione», Giorgio Gaber. Meglio la piazza che stare sopra un albero.

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Fonte: New Italy (sito estinto)