Le notizie non sono merce. E i giornalisti sono ancora essenziali per la democrazia
Scritto da Paolo Ribichini il 29 maggio 2012 in Editoriale

Le notizie non sono merce. Nella
liberal-democrazia lo Stato non finanzia l’impresa. Vige la dura legge
di Dawin: solo i più forti sopravvivono e gli altri, che non sono in
grado di adeguarsi ai cambiamenti esterni, periscono. Solo così il
mercato può garantire la migliore “efficienza”, con benefici per il
sistema nel suo complesso. Ma questa teoria quanto effettivamente può
essere applicata ai giornali? Dipende: se consideriamo la notizia come
merce allora è giusto che i finanziamenti pubblici all’editoria vengano
cancellati. Ma il ruolo del giornalismo non può ridursi nella semplice
mercificazione dell’informazione. Il ruolo dei giornali è o dovrebbe
essere un altro: quello di informare l’opinione pubblica, di permettere
al cittadino di partecipare e di controllare l’operato dei governanti.
Insomma, un’informazione indipendente, autorevole e plurale è lo
strumento più efficace di controllo dei governati rispetto a chi è al
potere, uno strumento fondamentale per rendere effettiva e completa la
democrazia.
Mai fare di tutta l’erba un fascio. In
Italia c’è buon giornalismo, checché ne dica Beppe Grillo. Ma c’è anche
la cattiva informazione, quella genuflessa alla politica e al potere.
Non stiamo parlando dei giornali di partito che svolgono il loro ruolo
propagandistico alla luce del sole. Parliamo di Rai, Mediaset e di una
buona fetta dei giornali. Ma fare di tutta un’erba un fascio funziona
sotto il profilo della comunicazione politica, quella del MoVimento 5
Stelle, ma non rende giustizia nei confronti di chi fa il proprio
mestiere con dedizione e spesso con coraggio, per pochi euro ad
articolo.
I giornalisti servono ancora, nonostante il web. Dire:
“i giornalisti sono dei venduti” e quindi “basta con il finanziamento
pubblico ai giornali”, non rende onore, non solo a chi – da precario –
cerca di informare onestamente, ma soprattutto al ruolo della stampa,
fondamentale in un paese democratico. Non può bastare il web per fare
informazione, come non può bastare il web per trasformare la democrazia
(poco) rappresentativa in una democrazia diretta. Su internet non ci
sono filtri. Questo è un bene, ma allo stesso tempo un male. C’è tanta
informazione, ma c’è anche tanta disinformazione. Non basta un commento a
smascherare il falso. Perché pochi, per esempio, hanno conoscenze
economiche che consentono loro di capire se certe informazioni sul
signoraggio bancario sono bufale o tremende verità. Cercando su Google
la parola “signoraggio e debito pubblico” nelle prime voci troviamo link
a siti e blog. Di esperti economisti e studiosi? No, di personaggi
piuttosto discutibili di cui non si sa nulla. Poiché Google premia nelle
ricerche i siti più visti e più linkati, questo significa che una buona
fetta degli internauti più che informarsi, è disinformata. Allora il
giornalista, quello preparato e quello onesto, rimane ancora oggi
l’unico utile filtro alla disinformazione e alla demagogia perché sa
quali sono le fonti attendibili e quali no.
Riformare i finanziamenti, aiutare le giovani imprese editoriali. Ma
Beppe Grillo ha ragione su un punto: perché i contribuenti italiani
devono pagare i finanziamenti a giornali che potrebbero farne a meno o a
testate che nessuno legge? Tolti i contributi pubblici ai giornali di
partito (che potrebbero essere finanziati dagli stessi ricchi partiti),
gli altri vengono distribuiti a pioggia. Per alcune grosse testate
questi aiuti incidono sul 3-5% del fatturato. In pratica potrebbero, con
qualche rinuncia, farne a meno. Ne è un esempio virtuoso [???] il Fatto
Quotidiano. Altri, invece, prendono milioni di euro, pur riuscendo a
vendere spesso meno di 1.000 copie al giorno. Allora, se si vuole
realmente salvaguardare il pluralismo dell’informazione, i finanziamenti
dovrebbero essere devoluti in primo luogo a chi decide di entrare nel
mercato dell’editoria periodica. Un aiuto che, soprattutto all’inizio e
in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo, può garantire
maggiore pluralismo e rinnovamento del modo di fare giornalismo in
Italia, favorendo l’uso del web e delle nuove tecnologie. In parte il
disegno di legge approvato recentemente dal governo va in questa
direzione, ma manca di coraggio. Basta soldi a chi non ne ha più bisogno
e un aiuto concreto ai giovani che hanno idee.
Fonte: Diritto di critica