venerdì 27 luglio 2012

Non togliete i soldi pubblici ai giornali, ma basta con i finanziamenti a pioggia

Le notizie non sono merce. E i giornalisti sono ancora essenziali per la democrazia

Scritto da il 29 maggio 2012 in Editoriale

bavaglio allinformazione Non togliete i soldi pubblici ai giornali, ma basta con i finanziamenti a pioggiaNel libero mercato i finanziamenti pubblici non dovrebbero esistere. Se un’azienda non riesce a stare sul mercato chiude. Ma perché i giornali, diversamente da imprese di altro genere, continuano a prendere soldi dallo Stato?

Le notizie non sono merce. Nella liberal-democrazia lo Stato non finanzia l’impresa. Vige la dura legge di Dawin: solo i più forti sopravvivono e gli altri, che non sono in grado di adeguarsi ai cambiamenti esterni, periscono. Solo così il mercato può garantire la migliore “efficienza”, con benefici per il sistema nel suo complesso. Ma questa teoria quanto effettivamente può essere applicata ai giornali? Dipende: se consideriamo la notizia come merce allora è giusto che i finanziamenti pubblici all’editoria vengano cancellati. Ma il ruolo del giornalismo non può ridursi nella semplice mercificazione dell’informazione. Il ruolo dei giornali è o dovrebbe essere un altro: quello di informare l’opinione pubblica, di permettere al cittadino di partecipare e di controllare l’operato dei governanti. Insomma, un’informazione indipendente, autorevole e plurale è lo strumento più efficace di controllo dei governati rispetto a chi è al potere, uno strumento fondamentale per rendere effettiva e completa la democrazia.


Mai fare di tutta l’erba un fascio. In Italia c’è buon giornalismo, checché ne dica Beppe Grillo. Ma c’è anche la cattiva informazione, quella genuflessa alla politica e al potere. Non stiamo parlando dei giornali di partito che svolgono il loro ruolo propagandistico alla luce del sole. Parliamo di Rai, Mediaset e di una buona fetta dei giornali. Ma fare di tutta un’erba un fascio funziona sotto il profilo della comunicazione politica, quella del MoVimento 5 Stelle, ma non rende giustizia nei confronti di chi fa il proprio mestiere con dedizione e spesso con coraggio, per pochi euro ad articolo.

I giornalisti servono ancora, nonostante il web. Dire: “i giornalisti sono dei venduti” e quindi “basta con il finanziamento pubblico ai giornali”, non rende onore, non solo a chi – da precario – cerca di informare onestamente, ma soprattutto al ruolo della stampa, fondamentale in un paese democratico. Non può bastare il web per fare informazione, come non può bastare il web per trasformare la democrazia (poco) rappresentativa in una democrazia diretta. Su internet non ci sono filtri. Questo è un bene, ma allo stesso tempo un male. C’è tanta informazione, ma c’è anche tanta disinformazione. Non basta un commento a smascherare il falso. Perché pochi, per esempio, hanno conoscenze economiche che consentono loro di capire se certe informazioni sul signoraggio bancario sono bufale o tremende verità. Cercando su Google la parola “signoraggio e debito pubblico” nelle prime voci troviamo link a siti e blog. Di esperti economisti e studiosi? No, di personaggi piuttosto discutibili di cui non si sa nulla. Poiché Google premia nelle ricerche i siti più visti e più linkati, questo significa che una buona fetta degli internauti più che informarsi, è disinformata. Allora il giornalista, quello preparato e quello onesto, rimane ancora oggi l’unico utile filtro alla disinformazione e alla demagogia perché sa quali sono le fonti attendibili e quali no.

Riformare i finanziamenti, aiutare le giovani imprese editoriali. Ma Beppe Grillo ha ragione su un punto: perché i contribuenti italiani devono pagare i finanziamenti a giornali che potrebbero farne a meno o a testate che nessuno legge? Tolti i contributi pubblici ai giornali di partito (che potrebbero essere finanziati dagli stessi ricchi partiti), gli altri vengono distribuiti a pioggia. Per alcune grosse testate questi aiuti incidono sul 3-5% del fatturato. In pratica potrebbero, con qualche rinuncia, farne a meno. Ne è un esempio virtuoso [???] il Fatto Quotidiano. Altri, invece, prendono milioni di euro, pur riuscendo a vendere spesso meno di 1.000 copie al giorno. Allora, se si vuole realmente salvaguardare il pluralismo dell’informazione, i finanziamenti dovrebbero essere devoluti in primo luogo a chi decide di entrare nel mercato dell’editoria periodica. Un aiuto che, soprattutto all’inizio e in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo, può garantire maggiore pluralismo e rinnovamento del modo di fare giornalismo in Italia, favorendo l’uso del web e delle nuove tecnologie. In parte il disegno di legge approvato recentemente dal governo va in questa direzione, ma manca di coraggio. Basta soldi a chi non ne ha più bisogno e un aiuto concreto ai giovani che hanno idee.