
(Premessa: Al fine di evitare un’esplosione di commenti
deliranti, occorre precisare che questo NON è un articolo contro Beppe
Grillo. Se qualche militante del Movimento 5 Stelle assetato di sangue
fosse assalito dal dubbio, sappia che questo blog non ha legami con la
cancrenosa Casta).
Alla vigilia della visita di Beppe Grillo nella
città del fiumeoreto, i sondaggi incoronano sempre più il guru genovese
come leader degli insoddisfatti, dei delusi dalla politica e via
conversando. Lui, da par suo, riempie le pagine dei giornali dando della
“salma” a Napolitano.
Su Grillo, sulle accuse di populismo rivoltegli, sul suo saccheggio
nel bacino elettorale della sinistra, sulla sua “potenza verbale” e
sulla sua volgarità è stato scritto tutto e il contrario di tutto, e
probabilmente chi si interessa a simili temi è in grado di trattarli
certamente meglio del sottoscritto, il quale, molto più umilmente,
sottopone alla vostra attenzione una chiave di lettura alternativa (e nemmeno troppo seria) dell’impegno politico del Grillazzo.
Anno 1985. Grillo viene scelto nientemeno che da Dino Risi come protagonista del film “Scemo di guerra“, produzione italo-francese ispirata ai diari di Mario Tobino “Il deserto della Libia“. La storia di un’unità militare italiana di stanza in Libia alle prese con un comandante affetto da gravi disturbi psichici.
La pellicola, presentata al Festival di Cannes di quello stesso anno,
fu sostanzialmente un insuccesso di critica e pubblico, in Italia come
in Francia. Eppure, “Scemo di guerra” il suo potenziale l’aveva eccome:
un grande regista, degli sceneggiatori d’eccezione (oltre allo stesso
Risi, Age & Scarpelli, mostri sacri della commedia
all’italiana), e un cast che oggi appare ricco di sorprese: oltre a
Grillo (nella sua seconda e penultima interpretazione cinematografica)
troviamo il belloccio Fabio Testi, il bravo ed esperto attore francese
Bernard Blier, un futuro peso massimo del cabaret come Claudio Bisio –
allora poco conosciuto – una foltita schiera di talentuosissimi
caratteristi del cinema italiano (l’attore sardo Sandro Ghiani, il
celebre “Dogui” Guido Nicheli – scriteriatamente doppiato con l’accento
siciliano – il corpulento Franco Diogene, il bel Gianni Franco) e,
soprattutto, il co-protagonista, la star francese Coluche nel ruolo dello psichicamente instabile comandante Pilli. Lo scemo di guerra, insomma.
Coluche (nome d’arte di Michel Colucci) non è molto conosciuto in
Italia, ma in Francia ha sempre goduto di una popolarità immensa, dovuta
alla sua comicità innovativa ed irriverente che spesso e volentieri
prendeva spunto dalla realtà sociale e politica francese. La tragica
fine – perse la vita, poco più che quarantenne, in un incidente stradale
in Costa Azzurra nel 1986 – non ha fatto altro che alimentarne
ulteriormente il mito.
Ebbene, l’attore transalpino viene ricordato in patria non solo per la geniale vis comica, ma anche per la sua singolarissima esperienza politica, legata alle elezioni presidenziali del 1981 (che videro poi l’affermazione del socialista François Mitterrand).
Dopo aver subito una censura da parte dell’emittente RMC, Coluche
decide di lanciare la propria candidatura all’Eliseo, in modo che
nessuno possa più censurarlo.
I suoi slogan sono surreali: “Finora la Francia è divisa in due; con me sarà piegata in quattro!” oppure “Coluche: l’unico candidato che non ha alcun motivo di mentirvi“. Per non parlare del suo appello (nell’immagine qui sotto) rivolto agli esclusi di Francia – e non solo – per “fottere nel culo” (cit.) gli uomini politici che non li prendono sul serio.
La candidatura di Coluche non venne per niente snobbata. Anzi. L’attore godeva dell’appoggio di fior di intellettuali francesi (Gilles Deleuze, Pierre Bourdieu), del celebre giornale satirico Hara Kiri,
e di alcuni sindacati, tanto da spaventare a morte la sinistra e i
socialisti di Mitterrand, che temevano una consistente emorragia di
voti; d’altro canto, anche la destra (all’epoca dei fatti al potere con
il presidente Giscard D’Estaing, bersaglio dei
monologhi di Coluche) fece di tutto per delegittimarlo: sul giornale
satirico di estrema destra “Minute”, nel giro di poco tempo, appare la
notizia di un furto compiuto da Coluche all’età di 19 anni.
L’omicidio del suo collaboratore René Gorlin – un
delitto passionale, secondo la polizia francese – e le numerose minacce
ricevute fecero desistere Coluche, il quale, stremato anche da uno
sciopero della fame di due settimane, alla fine consiglia ai suoi
potenziali elettori di votare per i socialisti di Mitterrand.
“Preferisco che la mia candidatura si fermi qui, perché comincia a
rompermi le palle”, dichiarerà.
Secondo il maestro Dino Risi, sarebbe stato proprio Coluche, in qualche modo, a ispirare Grillo a intraprendere la carriera di arringatore di folle. In un’intervista al “Corriere” del 2007 (in piena epoca “Vaffanculo-Day“, per intenderci), Risi affermò che «Grillo aveva un rispetto enorme per Coluche. Ne riconosceva la grandezza artistica» e che «forse
(…) fu proprio Coluche a ispirarlo: lui in Francia era già un idolo per
tutti. Era considerato il castigatore dei politici, tanto che poi si
candidò alla presidenza della Repubblica. Un personaggio strepitoso.
Adoravo le sue cene nel palazzo di Parigi: c’era di tutto e di tutti,
anche la pista di cocaina come segnaposto».
Nell’intervista, Risi
fa riferimento anche a una presunta gelosia di Grillo, causata
dall’enorme simpatia di Risi nei confronti della star francese. «Già
depresso perché ridotto al ruolo di spalla, Beppe a un certo punto si
ingelosì del rapporto speciale che avevo con Coluche. E così, per
ripicca, fece la mossa classica dell’attore indispettito: si diede
malato. Per due mesi dovemmo sospendere le riprese. Finché qualcuno non
gli fece sapere che se non fosse tornato avrebbe dovuto pagare una
penale. Parola magica: da buon genovese si ripresentò sul set».
Nella stessa intervista il regista usò anche delle parole assai meno
tenere nei confronti del leader a 5 stelle, e sul suo crescente impegno
politico.
Non è compito nostro stabilire parallelismi fra l’ascesa politica di
Grillo e la folle avventura di Coluche, né la misura in cui il comico
francese abbia influito sulla seconda vita del tribuno del popolo.
Alcune fra le vicende citate, in fin dei conti, non sono altro che degli
interessanti aneddoti. Tuttavia, quel singolare episodio della politica
francese (da cui è stato tratto anche un film, Coluche, histoire d’un mec,
di Antoine de Caunes, 2008), confrontato con i fenomeni di antipolitica
di oggi, ci appare senz’altro degno di suscitare più di una
riflessione.
Fonte: Il fiume Oreto
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Il regista e il comico avevano lavorato insieme per «Scemo di guerra»
Dino Risi: «Il film con Beppe? Era scarso»
«Era geloso di Coluche. Lasciò il set, tornò per la multa»
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MILANO — «Ma perché, c’è qualcuno convinto che Beppe Grillo sia
un bravo attore? Mava...Impossibile. Tra l’altro lui capì proprio
durante le riprese del mio film che recitare non era pane per i suoi
denti. E Coluche forse gli ispirò la strada alternativa: fare il
capopopolo ».
Dino Risi, a 91 anni, non si smentisce. Il regista
risponde al telefono dalla sua casa in un residence nel centro di Roma,
proprio davanti al Bioparco, dove vive solo, e felice. «Ormai è mia,
senza il disturbo di parenti o amici e senza le noie del condominio». E
anche se con il comico genovese non si vedono dai tempi di «Scemo di
guerra» — il film del 1985 nel quale Risi diresse lui e il francese
Coluche —, del «fenomeno Grillo», manco a dirlo, sa tutto. «Ho letto i
giornali: parlano solo di lui».
Aquella pellicola, invece, è legato il
ricordo di un tragico flop: «Fu un insuccesso sia in Italia sia in
Francia. Ma peccato, perché era molto carino, invece non fu capito. E
pensare che il libro da cui fu tratto, "Il deserto di Libia" di Tobino,
sceneggiato da Age e Scarpelli, è tra quelli che ho più amato...». Di
quella regia, però, Risi conserva anche ricordi divertenti. Come del
giovane esordiente Grillo: «Ragazzo bruttarello ma simpatico. Ai tempi
era la giovane promessa dello spettacolo italiano.
Lo ammiravo per le cose che faceva in tv, e per questo
lo scelsi. Però mai avrei immaginato che fosse così negato a recitare.
Anche Beppe, a dire il vero, comprese presto che il cinema non era per
lui. In compenso si capì subito che puntava a diventare personaggio, che
aveva altre ambizioni. E forse, ripeto, fu proprio Coluche a ispirarlo:
lui in Francia era già un idolo per tutti. Era considerato il
castigatore dei politici, tanto che poi si candidò alla presidenza della
Repubblica. Un personaggio strepitoso. Adoravo le sue cene nel palazzo
di Parigi: c’era di tutto e di tutti, anche la pista di cocaina come
segnaposto».
Una simpatia, quella di Risi per Coluche, che indispettì
proprio Grillo: «Già depresso perché ridotto al ruolo di spalla, Beppe a
un certo punto si ingelosì del rapporto speciale che avevo con Coluche.
E così, per ripicca, fece la mossa classica dell’attore indispettito:
si diede malato. Per due mesi dovemmo sospendere le riprese. Finché
qualcuno non gli fece sapere che se non fosse tornato avrebbe dovuto
pagare una penale. Parola magica: da buon genovese si ripresentò sul
set».
Ma i due, racconta Risi, andavano molto d’accordo: «Grillo aveva
un rispetto enorme per Coluche. Ne riconosceva la grandezza artistica».
La carriera di Grillo, da quell’esperienza nel 1985, Risi l’ha seguita a
distanza: «Un percorso interessante. La cosa che gli è riuscita meglio è
la sua svolta antipolitica: è più attore oggi che fa politica di quando
tentava di far l’attore. Credo guadagni un sacco di soldi, adesso.
Attenzione, però: non c’è niente di Grillo nel personaggio che
interpreta».
Per Risi, cioè, «il suo diventare un antipolitico non
coincide con il vero Beppe. Ai tempi, non mi è mai sembrato uno
interessato a questi temi, per intenderci ». Insomma, per Dino Risi il
suo ex attore giovane è soprattutto uno furbo: «Ha capito cosa rende e
se la sta inventando. Ha intuito che dire le cose da bar è un’attività
redditizia. Niente di meglio per gli italiani, che aspettano sempre il
capopopolo di turno. Ha fatto un po’, con maggior successo, quello che
hanno tentato Celentano e tanti altri. Anche Umberto Bossi, se vogliamo.
Ma state tutti attenti: Grillo non è pazzo, fa il pazzo».
Angela Frenda
19 settembre 2007
Fonte: Corriere