venerdì 20 luglio 2012

Genova 2001. Non è indispensabile accettare la condanna: due irreperibili

Lunedì 16 Luglio 2012

di  Dante Barontini

Francesco Puglisi e Vincenzo Vecchi, due dei condannati ormai "definitivi" per le manifestazioni contro il G8 di Genova nel 2011, sono al momento irreperibili.

Sono i due condannati alle pene più pesanti: dovrebbero infatti scontare rispettivamente 15 e 13 anni di carcere. La Procura generale di Genova ha emesso ieri gli ordini di carcerazione.

Per altri due sono invece scattate subito le manette. Per Ines Morasca, sei anni e sei mesi, è stata sospesa la carcerazione perché ha una figlia piccola.  Gli altri cinque restano invece in libertà, in attesa di affrontare un nuovo giudizio d'appello, ma solo per la «riponderazione» dell'attenuante di «aver agito in suggestione della folla in tumulto».

Non conosciamo le intenzioni dei due "irreperibili", ma esprimiamo loro il nostro augurio che non conoscano mai più la galera. E che i tanti critici del mondo attuale che abitano il mondo li aiutino a trovare altrove una vita da liberi. Non è affatto indispensabile scontare una pena ingiusta. Anzi, è indispensabile l'opposto.

Ma il punto che ci preme sottolineare è un altro, più politico e vicino a noi.

Da diversi anni, in Italia, si è fatta strada una "cultura politica" di massa che viene dipinta come "progressista" e che recita il più banale e conservatore degli slogan possibili: "difendere la legalità", "stare nella legalità", ecc. Diversi movimenti politici (dipietristi, grillini, oltre che Pd e soci) sostengono addirittura che solo gli "incensurati" avrebbero diritto a far politica ed eventualmente poter ricoprire cariche pubbliche.

Abbiamo qui un esempio vivente di quanto questa "cultura" sia servile col potere. I due "irreperibili" e gli altri compagni che invece hanno deciso di scontare la condanna dovrebbero forse essere "allontanati per sempre" dai movimenti sociali e politici? Quale diavolo di cervello bacato può tenere insieme il concetto di "necessità del cambiamento" e "rispetto integrale delle regole che vorremmo cambiare"? Quanto deve esser grande questo "baco" per non vedere che le regole esistenti sono gestite da un potere pronto a scavalcarle ogni volta che può e a cambiarle ogni volta che gli serve?


L'articolo 18 non c'è più. Era una legge. Dava loro fastidio e l'hanno cambiata. Il falso in bilancio non c'è più. L'ha abolito Berlusconi e Monti ha considerato che in fondo va bene così. Le "leggi razziali" erano perfettamente "legali". Persino il male assoluto dei campi di concentramento nazisti rispondeva a una perversa forma di "legalità" interna al sistema più immondo che l'umanità moderna abbia conosciuto.

Il feticcio della "legge", insomma, va riguardato dal'esterno per capirne intanto la cosa principale: legge e giustizia non si corrispondono mai. Il riferimento della prima alla seconda è sempre un'approssimazione, spesso una negazione.

Si dice, in linguaggio giuridico, che a legge è "positiva". Ossia che la legge è quella che c'è. Giusta o ingiusta, lo decidono i rapporti di forza tra uomini, figure e classi sociali, che mutano nel tempo e quindi cambiano anche le leggi.

In secondo luogo, quanto deve essere grande quel "baco" nel cervello per non distinguere tra "reati politici" e "reati comuni"?

Che un corrotto debba essere escluso dalla possibilità di tornare ad accapparrarsi ricchezza privata mediante l'uso di risorse pubbliche, è ovvio. Idem per una lunga serie di "reatI" chiaramente in contrasto con l'esercizio della funzione pubblica. Inutile fare l'elenco perché la bassezza umana riesce a trovare sempre nuove forme.
Ma chi è incappato nella repressione perché chiedeva e lottava perché questo "ordine" infame fosse cambiato, che quindi ha esercitato il primo e più alto dei diritti "pubblici", quello di manifestare attivamente il proprio pensiero, perché mai dovrebbe essere "espunto" dalla vita politica?

Chi sostiene questa barbarie senza pensiero dovrebbe almeno rendersi conto che ragiona come un generale birmano: ed escluderebbe Aung San Suu Kyi dalle competizioni elettorali. E Che Guevara dall'iconografia indispensabile per chi ha sete di giustizia. Sia o no "legale" averla.

Non lo è quasi mai...

Fonte: Contropiano 

Tra i commenti:

Roberto Grienti · Top Commentator · Università degli Studi di Catania
compagni non fatevi mai prendere per due motivi: 1) vi siete ribellati allo stato delle cose esistenti lo stato del capitalismo, è ribellarsi al capitalismo è cosa buona e giusta; 2) se vi prenderanno la grancassa mediatica, sempre servile al potere capitalista il quale è padrone dei giornali e tv e considera i pennivendoli schiavi i quali sono ben lieti di fare i lacchè, inneggerà alla efficienza delle istituzioni che hanno liberato la società dai mostri che attentano alla convivenza civile; sono quei pennivendoli che criminalizzano da sempre tutte le lotte degli strati sociali subalterni; sono quegli schiavi servili che scrivono sempre sotto dettatura, gli embedded dell'informazione, anzi della disinformazione italiana, che non si sarebbero mai indignati degli omicidi commessi nelle caserme dalle forze del disordine, se i parenti delle vittime non avessero avuto il coraggio di denunciare lo stato assassino; bene dice l'articolista: la legge non è detto che sia sempre giusta perche è legge; quando la legge è palesemente ingiusta e violenta perchè rovina l'esistenza della colletività, allora per ogni democratico e per ogni comunista è categoricamente doveroso ribellarsi; nel luglio del 1960 il partito comunista italiano stava dalla parte dei lavoratori che si ribellavano con lotte aspre e di massa contro l'autoritarismo dello stato democristiano; oggi i rinnegati del pci che hanno abortito il pd stanno dalla parte dello stato oppressore, che ha cancellato tutte le conquiste democratiche del secolo scorso; in quanto ai magistrati la quasi totalità applica la legge in modo meccanico non ponendosi mai l'interrogativo se applicare la legge meccanicamente non sia una palese violazione dei diritti democratici della collettività.

Gigliola Donadio · Top Commentator
se la legge non coincide con la giustizia reputo più che doveroso sottrarsi a pene assurde ed esorbitanti tanto più se per delitti gravissimi come l'omicidio e la tortura la stessa legge prevede l'impunità
 
 Redazione Contropiano 
Discutiamone apertamente.
La questione che abbiamo posto è antica quanto il mondo: legalità / giustizia. Della serie: c'è un lungo percorso di filosofia giuridica e politica alle nostre spalle (3.000 anni, giù di lì). Quindi non è che ci si può mettere a discutere come se uno si affacciasse per la prima volta su questi problemi. O meglio: lo si può anche fare, ma con un briciolo di attenzione, come ogni volta che si entra in un territorio per noi sconosciuto, ma frequentato a lungo da altri (esempio neutro: se so poco di fisica, non è intelligente che mi metta a dire "secondo me il bosone di Higgs è fatto così e cosà oppure "è una boiata pazzesca").

Secondo: "i politici" non sono mai "tutti uguali" e infatti ce la prendiamo con alcuni con tanto di sigla o di nome (non è colpa nostra se qui esistono i "partiti personali", oltre che quelli di idee). Se qualcuno ha simpatie per uno dei partiti o "assembramenti" qui citati, va benissimo; basta controbattere sul punto sollevato: i "reati politici" commessi da oppositori possono essere ritenuti causa di esclusione dalla vita politica al pari di altri reati (vale per i corrotti - che sono in genere singole persone, anche se inserite in un contesto ambienatle "disinvolto" - come per i pedofili o gli strozzini, per i violentatori come per i narcos)? Se uno pensa che debba valere anche per gli "oppositori politici", basta dirlo. Non siamo e non saremo mai d'accordo. 
Se invece si pensa che dovrebbero conservare tutti i "diritti civili e politici" (compreso quello di votare e poter essere votati), basta dire quest'altra cosa. Siamo e saremo sempre d'accordo. 
E' così difficile pronunciarsi da doversi nascondere dietro generalizzazioni che sfuggono alla domanda?

Terzo: in molti si son sciacquati la bocca con cause giuste (esempio ottimo, l'art. 18) e poi han tirato i remi in barca. Vero. Teniamolo a mente quando ci verranno a chiedere il voto. Ma che c'entra con il discorso che abbiamo fatto?

Qaarto e ultimo: non c'è mai alcuna simmetria tra potere e protesta, nemmeno sul piano morale. Un manifestante idiota ci può sempre essere ed è bene "rieducarlo" per fargli capire che una protesta è un atto collettivo mirante a uno scopo, non uno sfogatoio di individui frustrati. Ma in genere la stragrande maggioranza dei manifestanti arrestati sono tutt'altro che idioti sparsi. E chi pensa che "potevano starsene a casa" difficilmente sarà un buon cittadino. Per dirla con educazione...
Dante Barontini
 
 Redazione Contropiano 
[...] tra il nostro concetto di "legalità" e quello di Di Pietro e Grillo, ce ne corre... E nel "forcaiolismo" i due, appozzano spesso e volentieri... Perché se parli genericamente di "pregiudicati", allora non c'è distinzione tra "moventi". E nel discorso "rozzo", nella comunicazione rivolta alla pancia invece che alla testa, questa distinzione non viene mai neppure accennata.
Non essendo un esegeta dei loro testi più pensosi, forse mi è sfuggita...