domenica 8 luglio 2012

Cos'è, davvero, il M5S?

di Fabio Chiusi 
Decidono gli attivisti o comanda Grillo? Come vengono scelti i candidati? Qual è il ruolo di Casaleggio? 'L'Espresso' ha messo a confronto uno dei fondatori del movimento - oggi in polemica con il comico genovese - e uno dei suoi esponenti più aperti, consigliere comunale a Torino
(30 maggio 2012) 

Vignandel: Una buona idea si è trasformata in una strategia di marketing, attuata con il ricatto. Bertola: Siamo la realtà politica più trasparente del mondo, ogni dibattito avviene in Internet 


Beppe Grillo  

Democrazia diretta dal basso, trasparenza radicale: gli attivisti del Movimento 5 Stelle ne hanno fatto le parole d'ordine nella rivolta contro la Casta e i partiti. Racchiuse in uno slogan: «Ognuno vale uno».

Ma è davvero così, o qualcuno - parafrasando l'orwelliana 'Fattoria degli Animali' - è più uno degli altri? Loro dicono che Beppe Grillo e il suo uomo marketing, Gianroberto Casaleggio, non intervengono nelle decisioni dei gruppi locali, che il comico non è che un 'megafono', e si offendono se li chiami 'grillini'. Ma l'attivista Daniele Vignandel, un negozio di informatica e un passato da ufficiale nell'areonautica, racconta una storia ben diversa. Che risale ai primi esperimenti di liste civiche ispirate a Grillo. Ma giunge fino a oggi. «Parli con uno di quelli che ha fondato il Movimento 5 Stelle», dice Vignandel, che attualmente prosegue il suo impegno nelle Agende Rosse di Salvatore Borsellino. E lancia un appello: «E' ora che li fermiate, perché Casaleggio e Grillo stanno prendendo per il culo la gente, come il più becero dei partiti».

'L'Espresso' lo ha intervistato, qui di seguito, facendo seguire le sue accuse alle repliche di Vittorio Bertola, consigliere comunale a Torino per il M5S.

L'intervista a Daniele Vignandel

Daniele Vignandel Daniele Vignandel  

Vignandel, come è nato il suo impegno in quello che sarebbe poi diventato il M5S?
«Già nel 2007 dicevo che si doveva organizzare una lista civica. Avevo fatto dei sondaggi, aperto un meetup apposito, il 635 qui in Friuli (Vignandel è di Pordenone, ndr), per cercare di portare avanti un progetto del genere per le regionali del 2008. Siamo riusciti a mettere insieme una squadra, ma Beppe si è incazzato nero perché ha detto che eravamo troppo in anticipo, che non andava bene. Non riuscivamo a capire il perché. In Sicilia c'era Sonia Alfano, a Roma Serenetta Monti. E poi c'erano altre 16 liste civiche in giro per l'Italia. Noi abbiamo fallito la raccolta delle firme per 120-130 firme». 

Questo prima che nascesse il M5S...
«Sì, noi avevamo presentato il simbolo, ed era 'Amici di Beppe Grillo FVG'. Quando il Movimento non esisteva, non c'era niente. Eravamo noi quelli in avanscoperta, quelli che dovevano far capire all'ufficio marketing se il progetto era valido. Sonia Alfano in Sicilia ha preso 70 mila voti, 50 mila ne ha presi Serenetta a Roma. A Treviso si è piazzato un consigliere. L'idea è diventata appetibile economicamente. Vuol dire che il bacino c'era. Ed è qui che nascono i problemi».

Con chi?
«Con Grillo. E con Casaleggio. E' lui che ha preso delle persone e le ha messe in posti ben fidati. Ed è Grillo, per esempio, ad aver voluto candidare David Borrelli alla presidenza della regione in Veneto, anche se era già consigliere comunale e in teoria non doveva farlo. Lui me l'ha detto di persona: 'Beppe ha detto che devo essere io il candidato presidente, e lo faccio io'».

Ricorda il recente caso Tavolazzi...
«Tavolazzi è un brav'uomo, ma non ha scoperto niente di nuovo. Sono cose che abbiamo visto in anni tante volte. Serenetta Monti? Cacciata, perché si era stata candidata come indipendente nell'Idv su richiesta di Beppe. Nei vari meetup del Veneto, uno come Stefano De Barba, candidato come indipendente sempre nell'Idv, mandato via e trattato a pesci in faccia. A Treviso in tre comuni i candidati sono spariti. Ponzano Veneto, Paese di Treviso, Mogliano Veneto. Tutte e tre autorizzate col simbolo: sparite, epurate. Avevano osato mettersi contro Borrelli.

E la democrazia dal basso?
«Posso garantire che la famosa democrazia dal basso che tanto decantano non esiste. Quando abbiamo iniziato a riunirci, le 17-18 liste più i ragazzi del Piemonte, Favia e altri, era giugno 2009. Il Movimento non era ancora nato. Ci stavamo incontrando tra di noi, liste civiche, per creare un movimento dal basso. Cosa succede? Casaleggio, ogni volta che ci incontravamo, faceva venir fuori un post sul blog di Grillo dicendo 'questa cosa non è riconosciuta dal blog di Grillo'. Ci hanno messo i bastoni tra le ruote, ci hanno fatto allungare i tempi. La voglia di Grillo e Casaleggio era solo allungare i tempi, perché avevano bisogno di prendere tempo».

Per capire cosa fare, e magari registrare un marchio?
«Esatto. Noi, come liste civiche, che ci radunavamo nel meetup nazionale 823, ci chiamavamo 'Italia 5 Stelle', proposto dai ragazzi di Vicenza. Io ero il presidente di quell'associazione. Grillo ha preso tempo, era dubbioso. Ma noi eravamo benvoluti da tutti, sapevano che volevamo fare qualcosa di diverso».

E poi?
«Poi ci hanno invitati a Firenze, in prima fila c'ero io con Serenetta Monti e Sonia Alfano. Come entriamo ci troviamo la carta di Firenze già fatta da Casaleggio, il marchio già fatto da Casaleggio. Ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti: 'Il marketing è partito'. Hanno visto che c'era possibilità di fare soldi, e ci siamo trovati piano piano sempre più esautorati».

Perché?
«Perché lavorano con il ricatto. Tavolazzi è andato contro le regole: fuori. Io e Sonia non siamo mai andati contro alle regole, ma hanno fatto di tutto per mandarci via. Sonia aveva troppa visibilità. Stessa cosa per De Magistris. Beppe Grillo è una bravissima persona, ma se qualcuno gli porta via il palcoscenico lui si incazza, non ci sta. Sa perché coi giornalisti non parla?».

Dica.
«Perché lui risponde con quello che la Casaleggio gli dice di rispondere. E' un bravissimo uomo, ha una grande cultura, ma ha i suoi limiti. Gli voglio bene, però usa quelle formule in stile mafioso: 'Stai attento a non parlare troppo, perché se parli troppo ti tolgo il simbolo'. Perché il marchio del M5S è stato registrato a nome di Giuseppe Grillo: sia in Europa sia in Italia. Io adesso faccio ancora parte del M5S, sono un regolare iscritto. Ma dissento nella maniera più assoluta da quello che stanno facendo. Stanno prendendo in giro la gente, non è possibile vedere il marketing portato all'estrema potenza come adesso».

Tutto marketing?

«Il Movimento funziona come il Vaticano. Hai il Papa, Grillo, e i cardinali, la Casaleggio. Poi ogni prete nella sua Chiesa può dire quello che vuole. Però devi stare nei canoni dettati dal Vaticano».

Altrimenti vieni scomunicato?
«Esatto. E' una vecchia regola, nulla di nuovo: sono i cardinali a comandare. E infatti i responsabili dei meetup a volte, soprattutto nei posti chiave, sono messi lì da Casaleggio. E' una specie di Kgb dei poveri».

Casaleggio tiene anche incontri a porte chiuse, che è vietato riprendere, dove istruisce i candidati su cosa dire, e come?
»Ah, le famose riunioni di marketing«.

Quando ha cominciato a farle?
«Molto tardi, alle ultime amministrative. Ma con quelli che io chiamo 'i balilla' del Movimento, gente con cui non ragioni in alcun modo, non ce n'è nemmeno bisogno: basta la sudditanza psicologica. Sono dei 'berluscones' dall'altra parte, niente di diverso. Chi ha il coraggio di andare contro a uno che ha vinto?».

Tra i militanti quanti la pensano come te e quanti sono 'berluscones'?
«Sono tantissimi che la pensano come me, ma hanno paura che gli venga tolto il marchio».

Ma tra gli eletti ci sono solo i 'balilla', i talebani o anche persone indipendenti da Grillo?
«No, sono praticamente tutti talebani. Quando Beppe arriva e ricatta stai tranquillo che tutti stanno al loro posto. Certo, la gente è stata scelta dal basso. Ma come? Con il famoso sistema di cui ti ho parlato: 'è sempre stato lì, l'ha sempre fatto'. Guardi che alla riunione di Bologna, per buttare fuori Tavolazzi, c'erano 20-30 persone, mica tutto il Movimento».

I nodi verranno al pettine, prima o poi?
«Assolutamente sì. Io l'ho capito quando ho visto che Grillo ha registrato il marchio in Italia, a marzo 2012. Fino ad allora aveva solo la registrazione europea. Sta cercando di fare più marketing possibile. Aveva bisogno di tenere ben stretto il marchio, ma Grillo appena il Movimento inizia a sgonfiarsi se ne va. E avrà fatto un Movimento dal basso, lasciandosi il modo di dire 'i ragazzi ora sono liberi di andare da soli'. Perché quando non c'è più nulla da mungere...».

Ma finché lo danno in crescita...
«Resterà saldo al comando, assolutamente». Senza parlare con i giornalisti, né lui né Casaleggio.
«Assolutamente no. Questi sono come il Pdl: non parlano. Berlusconi li buttava fuori dal partito, Grillo li butta fuori dal Movimento».

Ma tra Grillo e Casaleggio chi comanda chi? Gira voce che ci sia un contratto che dice che Grillo non può scrivere una parola senza che sia approvata da Casaleggio.
«Che io sappia è sempre stato così. Casaleggio è il responsabile. Noi invece volevamo una struttura snella, ma che ci fosse, per il Movimento. Una struttura dove uno prende delle responsabilità e porta avanti un progetto politico. Poi se sbaglia, va via».

Un partito?
«No, una struttura più leggera. Ma qui stiamo parlando di strutture impossibili da gestire, oramai, perché devi mettere troppa gente al suo posto. Non va bene. Serve una struttura leggera, dove una persona abbia forti responsabilità ma anche forti rischi».

Ma il sistema di votazione online per scegliere chi portare in Parlamento?
«E' da anni che si parla di questa piattaforma, ma non è mai arrivata. Infatti se guarda una recente intervista ai Pirati Tedeschi hanno dichiarato che Beppe Grillo gli piaceva, però usa un sistema troppo anti-democratico, perché non c'è un sistema di voto. La scusa è sempre che hanno trovato un bug, un problema. Ma in realtà loro non lo vogliono. In maniera che l'anno prossimo il Movimento avrà un progetto politico che arriverà direttamente da Casaleggio, non votato da nessuno. Però tutti per paura di perdere il carro che va a Roma staranno zitti e se lo prenderanno. Perché vanno a parlare male di quello che siede sulla sedia del Pd o del Pdl, ma loro sono uguali, non cambia niente. Non c'è meritocrazia».

Che pensa dei 'complottismi' che girano in Rete su Casaleggio, dalle accuse di fare gli interessi di multinazionali ai video visionari sul futuro?
«Anche quello è marketing, da sfruttare per una banda di persone a cui queste cose piacciono. Io li chiamo 'i testimoni di Geova de noantri'. E ce ne sono, così come c'è gente validissima, a cui darei il mio voto anche domani».

Non è che lei è avvelenato perché l'hanno tagliata fuori?
«Ma chi se ne frega. Alle regionali del Friuli non mi sono nemmeno candidato, ma ho aiutato come tutti gli altri. Io vivo del mio mestiere, e non mi interessa candidarmi. Se avessi avuto quella faccia tosta sarei rimasto nell'areonautica, ora sarei colonnello a 4.200 euro al mese. Invece ho dei principi. Io la mattina mi faccio la barba, e voglio guardarmi in faccia».

La replica di Vittorio Bertola

Vittorio Bertola Vittorio Bertola 

Bertola, l'accusa è che il Movimento 5 Stelle sia in realtà una diarchia Grillo-Casaleggio. Che cosa risponde?
«Secondo me bisogna distinguere i piani. A livello nazionale è sempre stato che Grillo aveva l'ultima parola, ha sempre gestito lui autonomamente, scrivendo quello che pensa. E poi c'è questa collaborazione con Casaleggio, da molti anni, e spesso collaborano anche nella preparazione degli articoli sul blog e così via. Ma questo perché un livello nazionale non esiste ancora. Nel momento in cui ci dovessero essere delle liste nazionali, delle persone in Parlamento, lì sarà probabilmente un altro discorso».

E a livello locale?
«A livello locale è stato spesso detto 'Grillo spinge quello', ma poi quasi sempre quando ho potuto verificare di persona erano più voci per coprire magari il fatto che si era litigato. E che chi aveva perso, non soddisfatto nelle sue aspettative, si è giustificato dicendo 'è intervenuto qualcuno dell'alto'. Invece spesso sono gruppi che si sono trovati in minoranza. Anche qui a Torino, quando sono stato scelto io, c'è stata un po' di discussione, un gruppetto che si è distaccato dicendo 'Grillo vuole che sia Bertola il candidato'. Ma Grillo mi conosceva a malapena».

Un'altra accusa è che Grillo governi il Movimento col ricatto: 'se non fai come ti dico, ti tolgo il marchio'.
«Non è un ricatto, è una regola base del Movimento. Grillo ha questa funzione di concedere il simbolo tramite la certificazione e in qualche caso di toglierlo. Ma i casi in cui è successo si contano sulle dita di una mano, che io ricordi. E sono tutti casi diventati famosi. Modena, Tavolazzi: due o tre. Viene fatto quando c'è a giudizio di Grillo un tradimento pesante dei principi e degli obiettivi del Movimento. E' legittimo dire 'si potrebbe fare diversamente'. Però, in questa fase di maturazione del Movimento, Grillo è la persona che ha la fiducia sia di tutti gli attivisti che degli elettori. Per cui è anche giusto: la maggior parte del Movimento 5 Stelle preferisce fidarsi di una persona come Grillo, stimata, sopra le parti, che ha meno interesse nelle beghe locali piuttosto che dar luogo meccanismi che porterebbero a creare un partito, dai tesseramenti alla formazione di correnti». 

Però poi si sente ripetere che Grillo col Movimento non c'entra niente.
«Grillo c'entra. Però la questione che molti faticano a capire è che è molto ben definito il livello dove Grillo c'entra, e dove non c'entra. Dove c'entra, se si vuole in maniera assoluta, è la certificazione. Su quello, sulla concessione del simbolo, sulle regole (tutti incensurati, due mandati e così via) Grillo ha l'ultima parola in maniera assoluta. Nel senso che non c'è un metodo di decisione pubblica per cui tutti insieme decidiamo di togliere il limite dei due mandati, per dire. Ma questa è anche una garanzia. Nel senso che si vuole evitare che con la crescita del Movimento, con l'ingresso di persone di ogni provenienza, ci sia una manovra per togliere i principi base per cui ci siamo trovati».

Ma nel caso di Sonia Alfano, o di Tavolazzi, non sembra ci siano state violazioni di questi principi.
«Sono anche questioni di rapporto personale tra le persone. Sonia Alfano, di cui ho una grandissima stima, credo sia per il suo ingresso da indipendente nell'Idv. E, come successo in maniera molto più marcata con De Magistris, Beppe si è un po' sentito usato, per il fatto che poi abbiano fatto la loro attività politica nell'Idv.».

E sul caso Tavolazzi?
«Non si sa ancora bene. Però chi è dentro il Movimento ha visto abbastanza nettamente e per molti mesi partire questo tentativo di creare delle specie di congressi, di rimettere in discussione il ruolo di Grillo. E' sembrato un tentativo di costruire una corrente dentro al Movimento che ne rimettesse in discussione i principi fondamentali. Difficile dire se queste fossero le reali intenzioni di Tavolazzi, ma Grillo deve averle interpretate così e si è sentito in dovere di intervenire. Nonostante un buon rapporto personale, politicamente è venuta fuori questa divergenza di opinioni».

La telefonata del sindaco di Parma, Pizzarotti, a Casaleggio per la nomina di Tavolazzi sembra smentire che Grillo e Casaleggio si occupino solo del rispetto dei principi fondamentali, e che i gruppi lavorino in modo autonomo.
«E' un caso abbastanza particolare, perché Tavolazzi ha litigato personalmente e in maniera abbastanza pesante con Grillo. E giustamente a Parma si sono posti il problema di dire: come primo atto nomini uno che ha litigato a livello umano con Beppe? Forse è una cosa di cui vale la pena parlare. Ma non è che per ogni cosa Pizzarotti si mette a telefonare a Casaleggio. Più che una questione politica è di rapporti interpersonali».

Le riunioni a porte chiuse con Casaleggio? Anche lei ne aveva scritto.
«E' un episodio dell'anno scorso, in cui ho iniziato a raccontare su Facebook quello che veniva detto e gli altri della riunione non hanno gradito. Però era una riunione con 15 persone con le liste intorno a Torino, non un congresso nazionale. Magari sul momento c'è stato un po' di battibecco, ma la questione è finita lì».

Da un Movimento che chiede di portare le webcam nelle stanze dove si prendono le decisioni sembra una contraddizione, una mancanza di trasparenza.
«Da noi la trasparenza non manca mai: anche la più piccola divergenza viene amplificata su Facebook. Non credo esista alcun altro movimento politico in cui si può vedere qualunque cosa succeda. E' vero, e questa è la critica che feci in quella occasione, che ogni tanto può succedere ci sia qualcuno magari entrato da poco nel Movimento che quando scopre sulla pelle che la trasparenza è difficile ?€“ perché magari qualcosa che non vorresti far vedere a tutti viene subito messo in piazza e magari non sei pronto ad assumertene la responsabilità ?€“ allora magari dice 'forse è meglio non essere tanto trasparenti'. Però è una cosa che si dice, ma il dna del Movimento è mettere tutto in piazza. E comunque poi le cose escono sempre».

La piattaforma per gestire le votazioni e le canditure alle politiche: perché viene continuamente rimandata?
«La questione è che l'anno scorso, a giugno, c'è stato un primo tentativo di avviarla, quando Grillo e Casaleggio in una riunione a Milano avevano dato a varie persone - tra cui una ero io - l'incarico di lavorarci. In particolare, io avrei dovuto creare la piattaforma informatica per condividere le mozioni, gli atti eccetera». 

Erano quattro persone, se non sbaglio.
«Sì. Lì c'è stata una levata di scudi da parte di alcuni eletti, in particolare di consiglieri regionali, perché volevano essere coinvolti nella scelta di queste persone e avevano paura fossero non delle responsabilità organizzative - come erano - ma delle cariche interne politiche. Quell'episodio ha rallentato tutto, perché a quel punto sia Grillo che Casaleggio si sono preoccupati di non spingere su una cosa che magari avrebbe spaccato il Movimento. Si è un po' fermato tutto, da questo punto di vista. Credo che verrà ripreso con calma, dopo l'estate, perché per le politiche avremo bisogno sicuramente almeno della parte per votare le candidature».

Ma c'è un problema di democrazia interna nel Movimento, se non altro in prospettiva?
«No, c'è una questione semmai di sperimentare, capire come la forma di organizzazione del Movimento che abbiamo adesso possa reggere una volta arrivati a livello nazionale. A me però da un po' fastidio sentirla etichettare come una questione di democrazia interna. Intanto perché non c'è nessun movimento che prende uno che non è parente di nessuno, non ha mai fatto politica e in due mesi lo fa diventare sindaco di Parma. L'apertura interna è totale. Alle volte si parla di democrazia interna quando i gruppi locali non sono tanto evoluti e non riescono a gestirsi le proprie divergenze interne e si mettono a litigare tra loro. Sulla questione nazionale è solo una questione di sperimentazione: bisogna capire come può convivere un movimento assolutamente orizzontale con le sfide che pongono le elezioni nazionali. Che chiaramente richiedono una forma di coordinamento più elevata».

Però visto che Grillo e Casaleggio non rilasciano interviste (vere, non monologhi) è difficile capire quanto contino realmente.
«Io francamente li avrò sentiti tre o quattro volte in un anno da quando sono consigliere comunale. Non è mai successo che mi abbiano chiamato per qualcosa che dovevo votare io e dicendomi di votare come volevano loro».

Questo invece lo decide lei insieme al suo gruppo locale?
«Sì, anche questo è difficile da capire perché ogni gruppo locale è organizzato in maniera diversa. In Emilia spesso fanno proprio delle assemblee, delle votazioni. Noi siamo un po' più informali: io e la mia collega consigliere comunale ci confrontiamo con quelli eletti in circoscrizione, mettiamo su Facebook le questioni che arrivano e prendiamo pareri e commenti tramite la Rete, e poi una volta lette tutte le proposte che ci arrivano decidiamo che posizione prendere. In funzione del programma, che è abbastanza dettagliato ed è una guida abbastanza utile».

Fonte: Espresso