Decidono gli attivisti o comanda Grillo? Come vengono scelti i candidati? Qual è il ruolo di Casaleggio? 'L'Espresso' ha messo a confronto uno dei fondatori del movimento - oggi in polemica con il comico genovese - e uno dei suoi esponenti più aperti, consigliere comunale a Torino
(30 maggio 2012)
Vignandel: Una buona idea si è trasformata in una strategia di marketing, attuata con il ricatto. Bertola: Siamo la realtà politica più trasparente del mondo, ogni dibattito avviene in Internet
Democrazia diretta dal basso, trasparenza radicale: gli attivisti
del Movimento 5 Stelle ne hanno fatto le parole d'ordine nella
rivolta contro la Casta e i partiti. Racchiuse in uno slogan:
«Ognuno vale uno».
Ma è davvero così, o qualcuno - parafrasando l'orwelliana
'Fattoria degli Animali' - è più uno degli altri? Loro dicono che
Beppe Grillo e il suo uomo marketing, Gianroberto Casaleggio, non
intervengono nelle decisioni dei gruppi locali, che il comico non è
che un 'megafono', e si offendono se li chiami 'grillini'. Ma
l'attivista Daniele Vignandel, un negozio di informatica e un
passato da ufficiale nell'areonautica, racconta una storia ben
diversa. Che risale ai primi esperimenti di liste civiche ispirate
a Grillo. Ma giunge fino a oggi. «Parli con uno di quelli che ha
fondato il Movimento 5 Stelle», dice Vignandel, che attualmente
prosegue il suo impegno nelle Agende Rosse di Salvatore Borsellino.
E lancia un appello: «E' ora che li fermiate, perché Casaleggio e
Grillo stanno prendendo per il culo la gente, come il più becero
dei partiti».
'L'Espresso' lo ha intervistato, qui di seguito, facendo seguire
le sue accuse alle repliche di Vittorio Bertola, consigliere
comunale a Torino per il M5S.
L'intervista a Daniele Vignandel
Daniele Vignandel
Vignandel, come è nato il suo
impegno in quello che sarebbe poi diventato il M5S?
«Già nel 2007 dicevo che si doveva organizzare una lista civica.
Avevo fatto dei sondaggi, aperto un meetup apposito, il 635 qui in
Friuli (Vignandel è di Pordenone, ndr), per cercare di portare
avanti un progetto del genere per le regionali del 2008. Siamo
riusciti a mettere insieme una squadra, ma Beppe si è incazzato
nero perché ha detto che eravamo troppo in anticipo, che non andava
bene. Non riuscivamo a capire il perché. In Sicilia c'era Sonia
Alfano, a Roma Serenetta Monti. E poi c'erano altre 16 liste
civiche in giro per l'Italia. Noi abbiamo fallito la raccolta delle
firme per 120-130 firme».
Questo prima che nascesse il M5S...
«Sì, noi avevamo presentato il simbolo, ed era 'Amici di Beppe
Grillo FVG'. Quando il Movimento non esisteva, non c'era niente.
Eravamo noi quelli in avanscoperta, quelli che dovevano far capire
all'ufficio marketing se il progetto era valido. Sonia Alfano in
Sicilia ha preso 70 mila voti, 50 mila ne ha presi Serenetta a
Roma. A Treviso si è piazzato un consigliere. L'idea è diventata
appetibile economicamente. Vuol dire che il bacino c'era. Ed è qui
che nascono i problemi».
Con chi?
«Con Grillo. E con Casaleggio. E' lui che ha preso delle persone
e le ha messe in posti ben fidati. Ed è Grillo, per esempio, ad
aver voluto candidare David Borrelli alla presidenza della regione
in Veneto, anche se era già consigliere comunale e in teoria non
doveva farlo. Lui me l'ha detto di persona: 'Beppe ha detto che
devo essere io il candidato presidente, e lo faccio io'».
Ricorda il recente caso Tavolazzi...
«Tavolazzi è un brav'uomo, ma non ha scoperto niente di nuovo.
Sono cose che abbiamo visto in anni tante volte. Serenetta Monti?
Cacciata, perché si era stata candidata come indipendente nell'Idv
su richiesta di Beppe. Nei vari meetup del Veneto, uno come Stefano
De Barba, candidato come indipendente sempre nell'Idv, mandato via
e trattato a pesci in faccia. A Treviso in tre comuni i candidati
sono spariti. Ponzano Veneto, Paese di Treviso, Mogliano Veneto.
Tutte e tre autorizzate col simbolo: sparite, epurate. Avevano
osato mettersi contro Borrelli.
E la democrazia dal basso?
«Posso garantire che la famosa democrazia dal basso che tanto
decantano non esiste. Quando abbiamo iniziato a riunirci, le 17-18
liste più i ragazzi del Piemonte, Favia e altri, era giugno 2009.
Il Movimento non era ancora nato. Ci stavamo incontrando tra di
noi, liste civiche, per creare un movimento dal basso. Cosa
succede? Casaleggio, ogni volta che ci incontravamo, faceva venir
fuori un post sul blog di Grillo dicendo 'questa cosa non è
riconosciuta dal blog di Grillo'. Ci hanno messo i bastoni tra le
ruote, ci hanno fatto allungare i tempi. La voglia di Grillo e
Casaleggio era solo allungare i tempi, perché avevano bisogno di
prendere tempo».
Per capire cosa fare, e magari registrare un
marchio?
«Esatto. Noi, come liste civiche, che ci radunavamo nel meetup
nazionale 823, ci chiamavamo 'Italia 5 Stelle', proposto dai
ragazzi di Vicenza. Io ero il presidente di quell'associazione.
Grillo ha preso tempo, era dubbioso. Ma noi eravamo benvoluti da
tutti, sapevano che volevamo fare qualcosa di diverso».
E poi?
«Poi ci hanno invitati a Firenze, in prima fila c'ero io con
Serenetta Monti e Sonia Alfano. Come entriamo ci troviamo la carta
di Firenze già fatta da Casaleggio, il marchio già fatto da
Casaleggio. Ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti: 'Il
marketing è partito'. Hanno visto che c'era possibilità di fare
soldi, e ci siamo trovati piano piano sempre più esautorati».
Perché?
«Perché lavorano con il ricatto. Tavolazzi è andato contro le
regole: fuori. Io e Sonia non siamo mai andati contro alle regole,
ma hanno fatto di tutto per mandarci via. Sonia aveva troppa
visibilità. Stessa cosa per De Magistris. Beppe Grillo è una
bravissima persona, ma se qualcuno gli porta via il palcoscenico
lui si incazza, non ci sta. Sa perché coi giornalisti non
parla?».
Dica.
«Perché lui risponde con quello che la Casaleggio gli dice di
rispondere. E' un bravissimo uomo, ha una grande cultura, ma ha i
suoi limiti. Gli voglio bene, però usa quelle formule in stile
mafioso: 'Stai attento a non parlare troppo, perché se parli troppo
ti tolgo il simbolo'. Perché il marchio del M5S è stato registrato
a nome di Giuseppe Grillo: sia in Europa sia in Italia. Io adesso
faccio ancora parte del M5S, sono un regolare iscritto. Ma dissento
nella maniera più assoluta da quello che stanno facendo. Stanno
prendendo in giro la gente, non è possibile vedere il marketing
portato all'estrema potenza come adesso».
Tutto marketing?
Però poi si sente ripetere che Grillo col Movimento non c'entra niente.
Fonte: Espresso
«Il Movimento funziona come il Vaticano. Hai il Papa, Grillo, e i
cardinali, la Casaleggio. Poi ogni prete nella sua Chiesa può dire
quello che vuole. Però devi stare nei canoni dettati dal
Vaticano».
Altrimenti vieni scomunicato?
«Esatto. E' una vecchia regola, nulla di nuovo: sono i cardinali
a comandare. E infatti i responsabili dei meetup a volte,
soprattutto nei posti chiave, sono messi lì da Casaleggio. E' una
specie di Kgb dei poveri».
Casaleggio tiene anche incontri a porte chiuse, che è
vietato riprendere, dove istruisce i candidati su cosa dire, e
come?
»Ah, le famose riunioni di marketing«.
Quando ha cominciato a farle?
«Molto tardi, alle ultime amministrative. Ma con quelli che io
chiamo 'i balilla' del Movimento, gente con cui non ragioni in
alcun modo, non ce n'è nemmeno bisogno: basta la sudditanza
psicologica. Sono dei 'berluscones' dall'altra parte, niente di
diverso. Chi ha il coraggio di andare contro a uno che ha
vinto?».
Tra i militanti quanti la pensano come te e quanti sono
'berluscones'?
«Sono tantissimi che la pensano come me, ma hanno paura che gli
venga tolto il marchio».
Ma tra gli eletti ci sono solo i 'balilla', i talebani o
anche persone indipendenti da Grillo?
«No, sono praticamente tutti talebani. Quando Beppe arriva e
ricatta stai tranquillo che tutti stanno al loro posto. Certo, la
gente è stata scelta dal basso. Ma come? Con il famoso sistema di
cui ti ho parlato: 'è sempre stato lì, l'ha sempre fatto'. Guardi
che alla riunione di Bologna, per buttare fuori Tavolazzi, c'erano
20-30 persone, mica tutto il Movimento».
I nodi verranno al pettine, prima o poi?
«Assolutamente sì. Io l'ho capito quando ho visto che Grillo ha
registrato il marchio in Italia, a marzo 2012. Fino ad allora aveva
solo la registrazione europea. Sta cercando di fare più marketing
possibile. Aveva bisogno di tenere ben stretto il marchio, ma
Grillo appena il Movimento inizia a sgonfiarsi se ne va. E avrà
fatto un Movimento dal basso, lasciandosi il modo di dire 'i
ragazzi ora sono liberi di andare da soli'. Perché quando non c'è
più nulla da mungere...».
Ma finché lo danno in crescita...
«Resterà saldo al comando, assolutamente».
Senza parlare con i giornalisti, né lui né
Casaleggio.
«Assolutamente no. Questi sono come il Pdl: non parlano.
Berlusconi li buttava fuori dal partito, Grillo li butta fuori dal
Movimento».
Ma tra Grillo e Casaleggio chi comanda chi? Gira voce che
ci sia un contratto che dice che Grillo non può scrivere una parola
senza che sia approvata da Casaleggio.
«Che io sappia è sempre stato così. Casaleggio è il responsabile.
Noi invece volevamo una struttura snella, ma che ci fosse, per il
Movimento. Una struttura dove uno prende delle responsabilità e
porta avanti un progetto politico. Poi se sbaglia, va via».
Un partito?
«No, una struttura più leggera. Ma qui stiamo parlando di
strutture impossibili da gestire, oramai, perché devi mettere
troppa gente al suo posto. Non va bene. Serve una struttura
leggera, dove una persona abbia forti responsabilità ma anche forti
rischi».
Ma il sistema di votazione online per scegliere chi
portare in Parlamento?
«E' da anni che si parla di questa piattaforma, ma non è mai
arrivata. Infatti se guarda una recente intervista ai Pirati
Tedeschi hanno dichiarato che Beppe Grillo gli piaceva, però usa un
sistema troppo anti-democratico, perché non c'è un sistema di voto.
La scusa è sempre che hanno trovato un bug, un problema. Ma in
realtà loro non lo vogliono. In maniera che l'anno prossimo il
Movimento avrà un progetto politico che arriverà direttamente da
Casaleggio, non votato da nessuno. Però tutti per paura di perdere
il carro che va a Roma staranno zitti e se lo prenderanno. Perché
vanno a parlare male di quello che siede sulla sedia del Pd o del
Pdl, ma loro sono uguali, non cambia niente. Non c'è
meritocrazia».
Che pensa dei 'complottismi' che girano in Rete su
Casaleggio, dalle accuse di fare gli interessi di multinazionali ai
video visionari sul futuro?
«Anche quello è marketing, da sfruttare per una banda di persone
a cui queste cose piacciono. Io li chiamo 'i testimoni di Geova de
noantri'. E ce ne sono, così come c'è gente validissima, a cui
darei il mio voto anche domani».
Non è che lei è avvelenato perché l'hanno tagliata
fuori?
«Ma chi se ne frega. Alle regionali del Friuli non mi sono
nemmeno candidato, ma ho aiutato come tutti gli altri. Io vivo del
mio mestiere, e non mi interessa candidarmi. Se avessi avuto quella
faccia tosta sarei rimasto nell'areonautica, ora sarei colonnello a
4.200 euro al mese. Invece ho dei principi. Io la mattina mi faccio
la barba, e voglio guardarmi in faccia».
La replica di Vittorio Bertola
Vittorio Bertola
Bertola, l'accusa è che il Movimento 5 Stelle sia
in realtà una diarchia Grillo-Casaleggio. Che cosa
risponde?
«Secondo me bisogna distinguere i piani. A livello nazionale è
sempre stato che Grillo aveva l'ultima parola, ha sempre gestito
lui autonomamente, scrivendo quello che pensa. E poi c'è questa
collaborazione con Casaleggio, da molti anni, e spesso collaborano
anche nella preparazione degli articoli sul blog e così via. Ma
questo perché un livello nazionale non esiste ancora. Nel momento
in cui ci dovessero essere delle liste nazionali, delle persone in
Parlamento, lì sarà probabilmente un altro discorso».
E a livello locale?
«A livello locale è stato spesso detto 'Grillo spinge quello',
ma poi quasi sempre quando ho potuto verificare di persona erano
più voci per coprire magari il fatto che si era litigato. E che
chi aveva perso, non soddisfatto nelle sue aspettative, si è
giustificato dicendo 'è intervenuto qualcuno dell'alto'. Invece
spesso sono gruppi che si sono trovati in minoranza. Anche qui a
Torino, quando sono stato scelto io, c'è stata un po' di
discussione, un gruppetto che si è distaccato dicendo 'Grillo
vuole che sia Bertola il candidato'. Ma Grillo mi conosceva a
malapena».
Un'altra accusa è che Grillo governi il Movimento col
ricatto: 'se non fai come ti dico, ti tolgo il
marchio'.
«Non è un ricatto, è una regola base del Movimento. Grillo ha
questa funzione di concedere il simbolo tramite la certificazione e
in qualche caso di toglierlo. Ma i casi in cui è successo si
contano sulle dita di una mano, che io ricordi. E sono tutti casi
diventati famosi. Modena, Tavolazzi: due o tre. Viene fatto quando
c'è a giudizio di Grillo un tradimento pesante dei principi e
degli obiettivi del Movimento. E' legittimo dire 'si potrebbe fare
diversamente'. Però, in questa fase di maturazione del Movimento,
Grillo è la persona che ha la fiducia sia di tutti gli attivisti
che degli elettori. Per cui è anche giusto: la maggior parte del
Movimento 5 Stelle preferisce fidarsi di una persona come Grillo,
stimata, sopra le parti, che ha meno interesse nelle beghe locali
piuttosto che dar luogo meccanismi che porterebbero a creare un
partito, dai tesseramenti alla formazione di correnti».
Però poi si sente ripetere che Grillo col Movimento non c'entra niente.
«Grillo c'entra. Però la questione che molti faticano a capire è
che è molto ben definito il livello dove Grillo c'entra, e dove non
c'entra. Dove c'entra, se si vuole in maniera assoluta, è la
certificazione. Su quello, sulla concessione del simbolo, sulle
regole (tutti incensurati, due mandati e così via) Grillo ha
l'ultima parola in maniera assoluta. Nel senso che non c'è un
metodo di decisione pubblica per cui tutti insieme decidiamo di
togliere il limite dei due mandati, per dire. Ma questa è anche una
garanzia. Nel senso che si vuole evitare che con la crescita del
Movimento, con l'ingresso di persone di ogni provenienza, ci sia
una manovra per togliere i principi base per cui ci siamo
trovati».
Ma nel caso di Sonia Alfano, o di Tavolazzi, non sembra ci
siano state violazioni di questi principi.
«Sono anche questioni di rapporto personale tra le persone. Sonia
Alfano, di cui ho una grandissima stima, credo sia per il suo
ingresso da indipendente nell'Idv. E, come successo in maniera
molto più marcata con De Magistris, Beppe si è un po' sentito
usato, per il fatto che poi abbiano fatto la loro attività politica
nell'Idv.».
E sul caso Tavolazzi?
«Non si sa ancora bene. Però chi è dentro il Movimento ha visto
abbastanza nettamente e per molti mesi partire questo tentativo di
creare delle specie di congressi, di rimettere in discussione il
ruolo di Grillo. E' sembrato un tentativo di costruire una corrente
dentro al Movimento che ne rimettesse in discussione i principi
fondamentali. Difficile dire se queste fossero le reali intenzioni
di Tavolazzi, ma Grillo deve averle interpretate così e si è
sentito in dovere di intervenire. Nonostante un buon rapporto
personale, politicamente è venuta fuori questa divergenza di
opinioni».
La telefonata del sindaco di Parma, Pizzarotti, a
Casaleggio per la nomina di Tavolazzi sembra smentire che Grillo e
Casaleggio si occupino solo del rispetto dei principi fondamentali,
e che i gruppi lavorino in modo autonomo.
«E' un caso abbastanza particolare, perché Tavolazzi ha litigato
personalmente e in maniera abbastanza pesante con Grillo. E
giustamente a Parma si sono posti il problema di dire: come primo
atto nomini uno che ha litigato a livello umano con Beppe? Forse è
una cosa di cui vale la pena parlare. Ma non è che per ogni cosa
Pizzarotti si mette a telefonare a Casaleggio. Più che una
questione politica è di rapporti interpersonali».
Le riunioni a porte chiuse con Casaleggio? Anche lei ne
aveva scritto.
«E' un episodio dell'anno scorso, in cui ho iniziato a raccontare
su Facebook quello che veniva detto e gli altri della riunione non
hanno gradito. Però era una riunione con 15 persone con le liste
intorno a Torino, non un congresso nazionale. Magari sul momento
c'è stato un po' di battibecco, ma la questione è finita
lì».
Da un Movimento che chiede di portare le webcam nelle
stanze dove si prendono le decisioni sembra una contraddizione, una
mancanza di trasparenza.
«Da noi la trasparenza non manca mai: anche la più piccola
divergenza viene amplificata su Facebook. Non credo esista alcun
altro movimento politico in cui si può vedere qualunque cosa
succeda. E' vero, e questa è la critica che feci in quella
occasione, che ogni tanto può succedere ci sia qualcuno magari
entrato da poco nel Movimento che quando scopre sulla pelle che la
trasparenza è difficile ?€“ perché magari qualcosa che
non vorresti far vedere a tutti viene subito messo in piazza e
magari non sei pronto ad assumertene la responsabilità
?€“ allora magari dice 'forse è meglio non essere tanto
trasparenti'. Però è una cosa che si dice, ma il dna del
Movimento è mettere tutto in piazza. E comunque poi le cose escono
sempre».
La piattaforma per gestire le votazioni e le canditure
alle politiche: perché viene continuamente
rimandata?
«La questione è che l'anno scorso, a giugno, c'è stato un primo
tentativo di avviarla, quando Grillo e Casaleggio in una riunione a
Milano avevano dato a varie persone - tra cui una ero io -
l'incarico di lavorarci. In particolare, io avrei dovuto creare la
piattaforma informatica per condividere le mozioni, gli atti
eccetera».
Erano quattro persone, se non sbaglio.
«Sì. Lì c'è stata una levata di scudi da parte di alcuni eletti,
in particolare di consiglieri regionali, perché volevano essere
coinvolti nella scelta di queste persone e avevano paura fossero
non delle responsabilità organizzative - come erano - ma delle
cariche interne politiche. Quell'episodio ha rallentato tutto,
perché a quel punto sia Grillo che Casaleggio si sono preoccupati
di non spingere su una cosa che magari avrebbe spaccato il
Movimento. Si è un po' fermato tutto, da questo punto di vista.
Credo che verrà ripreso con calma, dopo l'estate, perché per le
politiche avremo bisogno sicuramente almeno della parte per votare
le candidature».
Ma c'è un problema di democrazia interna nel Movimento, se
non altro in prospettiva?
«No, c'è una questione semmai di sperimentare, capire come la
forma di organizzazione del Movimento che abbiamo adesso possa
reggere una volta arrivati a livello nazionale. A me però da un po'
fastidio sentirla etichettare come una questione di democrazia
interna. Intanto perché non c'è nessun movimento che prende uno che
non è parente di nessuno, non ha mai fatto politica e in due mesi
lo fa diventare sindaco di Parma. L'apertura interna è totale. Alle
volte si parla di democrazia interna quando i gruppi locali non
sono tanto evoluti e non riescono a gestirsi le proprie divergenze
interne e si mettono a litigare tra loro. Sulla questione nazionale
è solo una questione di sperimentazione: bisogna capire come può
convivere un movimento assolutamente orizzontale con le sfide che
pongono le elezioni nazionali. Che chiaramente richiedono una forma
di coordinamento più elevata».
Però visto che Grillo e Casaleggio non rilasciano
interviste (vere, non monologhi) è difficile capire quanto contino
realmente.
«Io francamente li avrò sentiti tre o quattro volte in un anno
da quando sono consigliere comunale. Non è mai successo che mi
abbiano chiamato per qualcosa che dovevo votare io e dicendomi di
votare come volevano loro».
Questo invece lo decide lei insieme al suo gruppo
locale?
«Sì, anche questo è difficile da capire perché ogni gruppo
locale è organizzato in maniera diversa. In Emilia spesso fanno
proprio delle assemblee, delle votazioni. Noi siamo un po' più
informali: io e la mia collega consigliere comunale ci confrontiamo
con quelli eletti in circoscrizione, mettiamo su Facebook le
questioni che arrivano e prendiamo pareri e commenti tramite la
Rete, e poi una volta lette tutte le proposte che ci arrivano
decidiamo che posizione prendere. In funzione del programma, che è
abbastanza dettagliato ed è una guida abbastanza utile».
Fonte: Espresso