Qualche settimana fa ho visto funzionare LiquidFeedback
, la piattaforma di e-democracy utilizzata dal Partito Pirata tedesco
per render partecipate e trasparenti, dunque democratiche, tutte le
scelte del partito. A sentir loro, il software è la ragione principale
del successo elettorale ottenuto a Berlino e ora nei Lander. È
indubbiamente un innovativo strumento di partecipazione, con i suoi
meccanismi di proposta, discussione e deliberazione con il metodo delle
preferenze multiple, e con l’innovativo sistema delle deleghe liquide,
per aree tematiche, sempre revocabili, che consentono una forma di
rappresentanza fluida. Non è l’unico sistema di partecipazione presente
in rete, ma è certamente il primo dotato di algoritmi testati sul campo
per una vera proposta politica (quella tedesca).
Per tutto il secolo scorso, il grado di democrazia di una società era determinato dalla domanda “chi vota?“:
più alto era il numero dei chiamati ad esprimersi sulle scelte
collettive, più democratico era considerato il governo della cosa
pubblica.
Oggi la domanda che ci si deve porre è “dove si vota?“.
Lo diceva già Bobbio, che pur temeva la computer-democrazia non avendo purtroppo potuto vedere e studiare il web di oggi:
«se si vuol conoscere se ci sia stato uno sviluppo della democrazia in un dato paese, si dovrebbe andare a vedere se sia aumentato non il numero di coloro che hanno diritto di partecipare alle decisioni che li riguardano, ma gli spazi in cui possono esercitare questo diritto».
Internet e il web hanno moltiplicato i luoghi della democrazia,
spesso in modo confuso e inconsapevole, ma oggi la domanda sul “dove si
vota” non può che condurre lì. E sul web fare politica non significa più
solo partecipare come “cittadini” (o per alcuni come sudditi), come
avviene ai seggi o nelle stanze sempre più distanti e inaccessibili dei
Partiti. Oggi ci si esprime in rete come portatori di molteplici
interessi sociali e più o meno scientemente facciamo “politica” nel
ruolo che ci appartiene: come imprenditori o come pendolari, come
precari, insegnanti o taxisti, come medici o malati. Il nostro
contributo lo diamo per ciò che siamo e sappiamo e usualmente per ciò
che ci tocca o ci appassiona. Credo sia questa l’essenza della nuova
democrazia liquida che può generarsi grazie al web. Attingere
selettivamente all’intelligenza collettiva della rete consente di
passare da una democrazia politica ad una democrazia sociale, occupando
(occupy… 99%) nuovi spazi.
LiquidFeedback consente di scegliere in quali aree impegnarsi, per
competenza, esperienza o anche solo per passione. Consente di delegare
più soggetti su temi differenti, valutando le proposte e gli interventi,
e di revocare le deleghe senza formalità. Calcola i voti con il metodo
Schulze, lo stesso utilizzato dalla Wikimedia Foundation (quella di
Wikipedia), ed ogni scelta, dalle candidature al programma, è generato
in modo trasparente e condiviso. È un software pensato ben sapendo che
nulla uccide di più la democrazia di un eccesso di democrazia
(Dharendorf). In pratica: fa ciò che puoi là dove sai. Non so se possa
funzionare nelle grandi organizzazioni politiche, ma è comunque uno
strumento affascinante, che prova ad incanalare la liquidità del web
generando luoghi di democrazia.
Dovrei fermarmi qui, ma è difficile in questi giorni non andare col pensiero al Movimento5stelle.
Come per i Pirati, sullo sfondo c’è il web e l’esigenza meritoria di generare nuovi luoghi di democrazia. Manca però un metodo, un liquidfeedback trasparente in grado di orientare in direzione ascendente il flusso delle idee, che paiono invece calate dal padrone del Segno.
“Il nome del MoVimento 5 Stelle viene abbinato a un contrassegno registrato a nome di Beppe Grillo, unico titolare dei diritti d’uso dello stesso“. Questo si legge nel “non-statuto” del movimento. È una contraddizione che non consente. Se vuoi essere “wiki”, non può esserci un unico titolare. “Non chiamateci grillini” è la giusta rivendicazione degli eletti. Chiediamoci perché.
11 maggio 2012
Fonte: Il Post