domenica 24 giugno 2012

Quel che manca lo mette Beppe

9 SETTEMBRE 2010

Su Facebook (per la precisione qui) potete leggervi tutta la – lunga – discussione. D’Amelio, le cui sortite talebane sono ormai un genere in voga qui su Popolino, pubblica sul suo profilo il seguente stato: “Lega, PD.. lasciatemelo dire: ma che c***o festeggiate?!!”. Insomma, il cittadino-barra-grillino contesta le feste dei partiti in quanto pagate dai soldi che i partiti stessi prendono con i rimborsi elettorali. Grosse cifre, pagate dalle tasse di tutti, e quindi l’appunto ci può stare, specie in questi tempi di poca tolleranza per questo genere di cose.

Dopodiché, se si potesse abbozzare un ragionamento, bisognerebbe far notare (e in quella discussione su Facebook qualcuno lo fa) che la politica costa, costa farla nelle serie maggiori e pure in quelle minori: un anno di semplicissima militanza – per citare l’unico esempio di cui sono certo, il mio – mi è costato più di quanto avrei immaginato, tra spostamenti e altre minuzie, per non parlare del tempo che ci ho dovuto investire. Soldi che non rientrano in nessun modo, soprattutto se non si hanno incarichi (e comunque sarebbero retribuiti per quel che si suppone si debba svolgere, non per il semplice fatto di far politica), e che il partito non rimborsa. Forse un tempo, non lo so, di sicuro non oggi.

Sono un po’ delle miserie, queste che sto raccontando, ma è per far capire che si fa presto a parlare dei partiti e della politica come se fossimo tutti parlamentari col volo di Stato, la realtà è che più l’attivismo è di base, più è di tasca propria: non implico nessun giudizio in questo (né chiedo conforto, perché nel mio caso è un impegno che ho preso liberamente), ma è un fatto con cui, posatosi il polverone del qualunquismo, bisognerà un giorno fare i conti a meno che non si voglia un Paese in cui a far politica sono solo i benestanti e i loro dipendenti. Succede già ora, sapete.

Alla festa del Pd, per tornare a bomba, sicuramente l’investimento organizzativo è coperto dal rimborso pubblico, ma poi bisogna metterci dentro il lavoro di centinaia di volontari che ci credono, e per questo fanno quel che fanno a spese loro. Lo si può trovare ammirevole, come fanno con trasporto i veterani delle feste dell’Unità, o lo si può giudicare incomprensibile, ma se non si dice questo è scorretto parlare di tutto il resto.
Piuttosto, avendo saputo quanto chiedono (il Pd biellese ci vivrebbe per due anni, comodo), e trattandosi di due bolliti, magari non avrei ingaggiato Dalla e De Gregori, ma questo è un altro discorso.

Potremmo perciò discutere, se non piace il finanziamento pubblico, dei modelli alternativi. Ad esempio quello americano, che si basa sui contributi privati, ma persino un filoamericano come me non può fingere di non vederne i limiti: perchè un conto sono gli small donors di cui ci ha raccontato Fitzgibbon domenica, altro sono gli studi di avvocati che finanziano i candidati al Congresso per conto delle grandi compagnie. Quando si apre la porta del finanziamento privato, il problema è controllare chi ci transita.

E poi – è il caso della politica italiana – bisogna vedere se è sufficiente a coprire le spese. D’Amelio e i suoi, in un modello pulito finanziato da piccoli donatori, sembrano crederci sul serio. Funziona? Vediamo un po’.

Nel 2009 i grillini, mentre da membri di un’associazione fondavano un partito vero e proprio, ma distinto, utilizzavano la sede e i benefit (connessione internet e telefono, affitto delle sale convegni, stampa, comunicazione e propaganda) del Centro Servizi Volontariato, a Biella e in tutta Italia. Un servizio che è - come direbbero loro - “pagato da tutti”. L’utilizzo, col partito abbondantemente consolidato, si è ripetuto nel 2010 e prosegue tutt’ora. Poca roba, si dirà, ma provate a cercare una sede in cui fare riunioni e un po’ di attività, con gli affitti che ci sono, e poi vedrete che anche l’aiutino pubblico del Csv vi sembrerà meno ininfluente: se si prendono tutti i meetup di Grillo in Italia, si moltiplicano per tutti i servizi che i Csv locali eroga loro, si inizia a far cifra.

Le regole dei Csv pretendono dagli assistiti una natura apolitica (ovvero: le affiliazioni di stampo partitico non possono usufruire dei suoi servizi): questo paletto viene aggirato sostenendo che i grillini sono associazione, con tutti i diritti del caso, ben distinta dal Movimento 5 Stelle. Curioso distinguo, visto che gli iscritti sono gli stessi, e pure i temi qualificanti, per non parlare dei leader locali e di quello nazionale.

Curioso pure che, nell’ordine: uno tra i fondatori dei Grilli Biellesi sia figlio dell’attuale presidente del Csv di Biella; che un altro tra i fondatori sia amministratore del gruppo Facebook ed ex tenutario del vecchio blog del Movimento (a dimostrazione di quanto le cose siano distinte); che un movimento così attento alla rete abbia un altro e più nuovo sito che giace in abbandono da giugno senza riportare uno straccio di nome di un referente locale (forse perché quei nomi sono già presenti sul sito dei grillini); che, infine, proseguendo ancora oggi nell’usare gli spazi del Csv, si ritrovino per discutere di “nuova sede” e “rapporto col MoVimento 5 Stelle” (nella sala degli specchi, immagino). Salvo poi, a proposito di una sede propria, gettare la spugna pochi giorni dopo, come riportato sulla bacheca Facebook dello stesso D’Amelio, sconfitti dalla dura realtà.

Se fossi massimalista quanto loro – e fortunatamente non è così - parlerei di truffa: direi che, nei fatti, il MoVimento 5 Stelle è un partito politico che, quando non è in campagna elettorale, si comporta come un’entità dormiente, svuotata da qualsiasi presenza e attività, interamente sostituita dall’associazione dei Grilli che, in quanto tale, può accedere a servizi e facilitazioni che sarebbero negati a un’organizzazione politica. Poi, in prossimità delle elezioni, i ruoli si invertono, anche grazie al fatto che le persone coinvolte sono le stesse, e si capitalizza così in voti quanto fatto nel corso dell’attività teoricamente “apolitica”. Brillante, non c’è che dire.

Certo, il Movimento 5 Stelle ha rifiutato il rimborso elettorale, e di questo gli si da atto. Ciò nonostante, i suoi consiglieri regionali eletti hanno regolarmente fatto mettere a libro paga i portaborse stipendiati dalla Regione, usando il solito espediente di chiamarli in un altro modo (assistenti). La ragione oggettiva è che possono servire, perché è purtroppo coi soldi e con gli incarichi retribuiti che i partiti fanno politica, nessuno escluso, e pagarli col pur elevato stipendio dei consiglieri sarebbe oneroso, molto meglio usare il soldo pubblico. Tutto legittimo, ma anche non molto distante dal così fan tutti della solita, vecchia politica, e uno si aspetterebbe almeno un po’ più di pudore nel proclamare differenze antropologiche e sventolar ditini di rimprovero. E meno superficialità un tanto al chilo, di quella che alla lunga, anche considerando una generosa curva d’apprendimento, qualifica solo due categorie di esseri umani: quelli scemi e quelli in malafede. Invece no.

Rispondendo all’invettiva contro gli odiosi partiti che festeggiano col grano altrui, uno degli interlocutori di D’Amelio si chiede: ma chi la paga la Woodstock a 5 Stelle, ovvero la prossima manifestazione nazionale grillina? E D’Amelio, che è trasparente come l’acqua pubblica, ma privo di sali minerali, e non vede altri problemi se non quelli indicati dalla Mecca verso cui si inginocchia ogni sera, candido, scrive una cosa che evidentemente deve sembrargli normalissima, civilissima. Ci sono le donazioni, dice, e “quel che manca lo mette Beppe“. Non si è messo a intonare ”per fortuna che Beppe c’è”, ma c’è mancato tanto così.

“Quel che manca lo mette Beppe” è l’equivalente umano e politico del mio cane che scodinzola perché è contento di avere un padrone. Solo che il mio cane è, appunto, un cane, seppure molto intelligente, con guizzi di autonomia di pensiero che altri non so. Tra esseri della stessa specie, invece, i padroni sarebbe meglio evitarli. In politica soprattutto.

M’è venuto in mente che c’era un precedente, un tizio precursore del munifico Beppe che aveva molto successo nel suo lavoro, e quindi benestante, e pure costui un bel giorno aveva deciso di entrare in politica. E siccome c’aveva il grano ed era molto generoso, offriva sempre lui per tutti. In cambio, dopotutto, chiedeva solo di non esser contraddetto: cosa che in moltissimi hanno trovato assolutamente ragionevole, di fronte a tanta disponibilità, anche se poi qualcuno ha iniziato a comprendere che in questa cosa del vendere l’anima, contraendo debiti materiali che presto o tardi bisogna saldare sull’unghia dando in pegno il proprio libero arbitrio, c’è un problemino. Ho un vuoto di memoria, com’è che si chiamava?