"Caro Direttore,
con grande dispiacere ci vediamo costretti, ancora una volta, a difenderci dalle accuse da lei mosse nei nostri confronti per tutelarci rispetto al danno grave che lei, reiteratamente,
sta arrecando alle nostre persone, alla nostra immagine e alla nostra
credibilità professionale. In parecchie occasioni, noi abbiamo tentato,
in passato, di interloquire con lei, senza mai averne l’opportunità. Ci
fa specie che, soltanto adesso che il giornale è stato oggetto di una
nostra satira, lei stia trovando il tempo che non ha mai trovato finora
per risponderci. Non era cosa da poco ciò che chiedevamo di sapere da
parte sua.
La prima volta in relazione alla mancata pubblicazione del video su Bossi che ci era stato rifiutato dalla redazione perché ritenuto volgare e suscettibile di querela.
Avremmo voluto sapere, infatti (e la questione risulta dirimente per
noi che facciamo satira), quali fossero i vostri criteri di volgarità,
considerato che altri video come “ Telefona a ‘stu cazz’” (e di simile tenore) erano stati pubblicati senza problemi.
Ci premeva, inoltre, capire anche in quel caso quali fossero i pericoli
di querela a cui si poteva esporre la testata se avesse pubblicato il
video. Un’altra occasione è stata quella in cui avendovi inviato il
video “ Buon compleanno, vecchio”
(il video sul compleanno di Berlusconi) la redazione aveva scelto di
non dare visibilità in prima pagina al post, rimandandoci ad un
regolamento del quale non eravamo mai stati informati quando ci avete
proposto di aprire uno spazio sul vostro sito.
Posto che la nostra collaborazione è a titolo gratuito,
le abbiamo rappresentato la nostra unica condizione richiesta affinché
tale collaborazione “esclusiva” potesse costituire anche per noi un
vantaggio. A fronte dei nostri gratuiti contributi (offerti in esclusiva
a Il Fatto), chiedevamo imprescindibilmente che ci fosse garantita la
visibilità in prima pagina di ogni nostro post. Non abbiamo mai ricevuto
da lei una risposta che ci rassicurasse in tal senso.
Infine, venendo al video su Orlando, da voi rifiutato,
abbiamo chiesto per iscritto che ci venissero esplicitati i punti della
canzone “Tu dimmi quando, Orlando” da voi ritenuti suscettibili di
querela, posto che c’era stato laconicamente comunicato, come lei
giustamente ricorda, che: “dopo attenta valutazione da parte della
redazione, reputiamo che questo video ci potrebbe esporre a rischi di
querele. Il post quindi non verrà pubblicato sul nostro sito”. Nessuna
risposta è arrivata da parte vostra, malgrado noi avessimo interesse,
ormai, a sapere se effettivamente ci potessero essere motivi di querela
oppure, come cominciavamo a sospettare, a qualcuno della redazione
potesse non far piacere che si criticasse Leoluca Orlando.
Nell’ultimo nostro video satirico “ Questo è Il Fatto Quotidiano”,
lei giustamente afferma che noi non abbiamo fatto riferimento alla sua
persona, avendo invece menzionato altre persone della redazione. E un
motivo c’è. Abbiamo sempre avuto nei suoi confronti stima e rispetto
delle sue capacità professionali; ed è anche per questo che, consapevoli
dei suoi impegni, abbiamo sempre avuto pazienza nell’attendere risposte
da parte sua.
Detto questo, avendole riferito le
motivazioni alla base delle nostre richieste di un contatto con lei,
veniamo dunque alle questioni sollevate dai suoi interventi nei nostri
confronti. La questione della diffamazione: per noi che
facciamo satira è altrettanto importante, come lo è per lei, la tutela
del diritto alla libertà di opinione, spesso minacciato dalla facilità
con cui i potenti si fanno scudo dei tribunali per dissuadere
giornalisti, autori satirici, bloggers (che non possono permettersi di
pagare grosse somme economiche per le spese legali ed eventuali
risarcimenti) dall’esprimere liberamente le proprie opinioni. Le
clausole di manleva, in molti casi, addirittura costituiscono
l’ulteriore determinante deterrente nei confronti di chi con coraggio
osa attaccare i potenti ma di questi ultimi si ritrova, da solo, a dover
affrontare le ritorsioni.
Nel nostro caso, paradossalmente, ci ritroviamo nostro malgrado ad essere danneggiati e diffamati dallo stesso nostro direttore di giornale, il quale sostiene che una “semplice diffamazione” sia cosa da poco e che l’aver noi riferito di tale condanna, comminata ai danni di Leoluca Orlando, sia stato un episodio fastidioso,
asserendo che non abbiamo intenzionalmente specificato la natura della
condanna. Nell’allegato (documento word) da noi inviato, era contenuto
il link, tra parentesi e ben visibile, che riportava alla sentenza di
condanna per diffamazione aggravata, seppur essendo vero che, in una
prima mail, Troja avesse commesso la leggerezza di dimenticare i link a
supporto delle sue affermazioni, link che vi ha inviato immediatamente
in una seconda mail, su vostra richiesta. Il processo alle intenzioni
difficilmente conduce alla reale comprensione fra le persone.
Se, come lei afferma, la cosa l’aveva infastidita,
evidentemente è saltato alla conclusione che la dimenticanza (che non
riguardava solo la condanna, ma tutte le notizie riportate nel post)
fosse “voluta”. A noi piace sempre lasciare il beneficio del dubbio e,
se è il caso, ci premuriamo di sincerarcene personalmente. Ma
probabilmente l’effetto molesto della satira l’ha spinta a rendere tali
fastidi pubblici, piuttosto che. Invece ci piacerebbe sapere (dato che il post aveva come oggetto specifico la condanna di Orlando) in base a quale principio il titolo originario, e già pubblicato, sia stato cambiato da “Di Pietro e il condannato Orlando” a “Di Pietro e Orlando a Palermo” .
Sempre a proposito di diffamazione,
ci preme dire una cosa, per noi, importantissima. Malgrado siano ben
note le ragioni per le quali il dibattito inerente la questione morale
porti a ragionare sull’opportunità di escludere il reato di opinione dai
motivi di incandidabilità dei politici, a nostro avviso, il “caso
Orlando” rappresenta un’eccezione da non sottovalutare. Noi, infatti, al
pari di Giovanni Falcone, reputiamo scandaloso un certo modo di fare politica che trova in Leoluca Orlando un esponente di spicco.
Al punto da far dire a Falcone le seguenti parole (riportate a chiusura
del video da voi non pubblicato): “Questo è un modo di fare politica,
attraverso il sistema giudiziario, che noi rifiutiamo. E se il sindaco
sa qualcosa, faccia nomi e cognomi. Altrimenti taccia!”. Lo stesso
Falcone che a proposito della famosa frase orlandiana “Il sospetto è
l’anticamera della verità” ribatteva dicendo “Il sospetto è l’anticamera
del khomeinismo”.
Al di là dell’esigenza sacrosanta di
tutelare la libertà di opinione, occorre infatti non sminuire
l’importanza, altrettanto sacrosanta, e la gravità del reato di diffamazione,
quando questo risulti essere perpetrato con troppa leggerezza o
addirittura con dolo (consapevoli della falsità o della pretestuosità
delle accuse fatte ai danni di persone, alle quali si arreca comunque un
nocumento spesso grave). Proprio per questa nostra specifica attenzione
al problema, le sue affermazioni pubbliche riguardanti la
suscettibilità di querela del video non pubblicato, nel quale, a detta
sua, avremmo asserito “la responsabilità di Orlando nell’omicidio di
Falcone”, oltre a risultare gravemente diffamatorie e lesive delle
nostre persone (in quanto ci accusano di una probabile responsabilità in un reato penale),
risultano lesive della nostra immagine nei confronti dell’opinione
pubblica, inducendo il lettore inconsapevole ad accomunarci a quel modo
di far politica (o informazione, satira) tanto caro ad Orlando e che noi
stigmatizziamo con grande sdegno.
A questo proposito, oltre alla leggerezza (o dolo?) iniziale (contenuta nel suo primo post), si aggiunge l’aggravante della scorrettezza nel non aver pubblicato ex novo la nostra rettifica,
come da noi esplicitamente sollecitato, in un post a sé stante. In tal
modo, infatti, pubblicando tale rettifica (e la susseguente sua replica)
in calce al post già da lei pubblicato, non ha consentito che tutti
coloro che avevano letto il suo post (e probabilmente non lo avrebbero
più riletto) potessero venire a conoscenza delle nostre ragioni.
Vogliamo credere che sia stato fatto per leggerezza, com’è nostra
abitudine nel non fare processi alle intenzioni, e per questo le
chiediamo di offrirci l’opportunità di far conoscere le nostre ragioni
con la stessa visibilità con la quale lei ha fatto conoscere le sue. A questo punto, le risulterà evidente la ragione per la quale noi abbiamo fatto cenno ad eventuali querele da parte nostra:
chi subisce un danno, a maggior ragione se propone una rettifica a
riparazione dello stesso, da parte di chi, dall’alto di una posizione
mediatica forte, gli ha inferto un duro colpo, dannoso per l’immagine e
la reputazione, quale altro mezzo di difesa può avere, a tutela dei
propri interessi, se non il ricorso al giudice?
La seconda questione, altrettanto
importante, riguarda le sue gravi affermazioni a proposito della nostra
onestà intellettuale nell’ambito del ruolo politico di Merighi. La gravità delle sue affermazioni consiste
nell’indurre il lettore a ritenere strumentale il nostro lavoro
satirico, in quanto finalizzato al proprio tornaconto politico. Lei lo
ha insinuato una prima volta, tirando in ballo la questione della
candidatura di Merighi (nel suo primo post) e l’ha ribadito nella sua
replica, dove addirittura sostiene: “La questione del conflitto
d’interessi – che diventa tale solo perché al lettore non si dice che
uno delle due firme del blog è candidato e l’altro lo sostiene – resta
invece tutta, secondo me, per i post di aprile”. Merighi, proprio per
onestà intellettuale, e rispetto nei confronti sia dei lettori che della
testata che ci ospita, non ha mai voluto espressamente fare cenno a
questa sua candidatura. Ne avrebbe certamente tratto un enorme beneficio
sfruttando tale opportunità mediatica per farlo sapere a quante più
persone possibile.
Ma lo spazio a noi concesso con il blog,
esplicitamente riferito alla nostra attività di autori satirici e
blogger, non consentiva in alcun modo (volendo essere onesti con la
propria coscienza) di mescolare, anche solo di sfuggita, satira e
impegno politico. Come è noto, la satira (come del resto l’informazione)
deve rimanere “altra”, libera, indipendente, per essere efficacemente
critica nei confronti del potere costituito. Il nostro volerci riferire
alla corretta datazione del video da voi non pubblicato e il nostro
voler ribadire l’esatta sequenza cronologica, non mirano a sottolineare
una sua carenza di memoria (che può essere giustificata, visto l’enorme
mole di cose che lei deve ricordare), semmai intendono porre un rimedio all’enorme danno nei confronti della nostra attività artistica rappresentato dalle sue inesattezze.
Asserendo del conflitto di interessi nel suo primo post e ribadendolo, nonostante le nostre rettifiche, nella sua replica,
in cui lei afferma che a febbraio già “era ampiamente noto a Palermo,
c’era chi ce ne aveva parlato, il vostro legittimo sostegno a
Ferrandelli”, lei compie una grave scorrettezza ai nostri danni. L’inizio del sostegno pubblico di Merighi a Ferrandelli,
da semplice cittadino e non da candidato, avviene un paio di giorni
prima delle primarie (4 marzo), un sostegno che non si riferisce tanto
al candidato, quanto alla partecipazione che attorno a quel candidato si
era generata da parte di un gran numero di movimenti e di cittadini
attivi della cosiddetta società civile, della quale Merighi è parte rappresentativa in quanto presidente di una delle associazioni più rinomate a Palermo per impegno civico.
Cosa che non ha mai impedito a Merighi di esprimersi in qualità di
autore satirico, pungendo indistintamente qualunque potere costituito.
Se successivamente, in data 13 marzo,
Merighi ha deciso di accettare la proposta di candidatura da parte di
Ferrandelli, ciò non necessariamente avrebbe dovuto interessare né i
lettori né lei. Da quel momento, in effetti, si sarebbe venuta a
verificare una prima occasione di conflitto fra la nuova attività
politica di candidato e la sua attività di autore satirico. Per tale ragione Merighi, da quel momento, ha comunicato a Troja
la sua intenzione di rimanere il più al di fuori possibile rispetto
all’esposizione mediatica relativa alla satira, proponendosi di cessare
tale attività nell’eventualità che i cittadini di Palermo gli avessero
assegnato il ruolo di consigliere comunale. Era proprio necessario
comunicare pubblicamente, come lei afferma, la candidatura di Merighi ai
lettori e alla redazione? Noi non pensavamo che lo fosse.
Semmai, lei dovrebbe spiegarci come mai, da una parte, lei afferma che
i post successivi alla candidatura fossero stati “pubblicati senza che
nessuno di voi mi avesse avvertito della candidatura di Merighi,
scoperta per caso da un mio redattore. Cosa che sinceramente mi ha un
po’ infastidito” e, poche righe dopo, lei stesso afferma,
contraddicendosi, che a febbraio “era ampiamente noto a Palermo, c’era
chi ce ne aveva già parlato, il vostro legittimo sostegno a
Ferrandelli”. Tenuto conto che la prima dichiarazione pubblica di
sostegno da parte di Merighi a Ferrandelli risale, come detto, ad un
paio di giorni prima delle primarie (4 marzo), cortesemente la preghiamo di verificare le sue fonti perché ampiamente errate.
In ogni caso, per farla finita,
basterebbe che lei facesse semplicemente un pubblico atto di scuse che
ci consentisse di veder riabilitata la nostra immagine professionale,
artistica, personale, rispetto ai gravi danni che le sue inesattezze ci
hanno arrecato.
Le chiediamo, pertanto, oltre a pubblicare la presente o anche in alternativa alla pubblicazione della stessa, un suo atto riparatorio che ci consenta di proseguire nella collaborazione finora intercorsa, e comunque di aver restituita quella credibilità che lei ha danneggiato.
Ciò basterebbe a chiudere proficuamente per entrambe le parti la
questione senza la necessità di dover ricorrere alla nostra tutela per
vie legali. Sinceramente sarebbe, riteniamo, anche il miglior modo per
proseguire i nostri buoni rapporti.
Cordialmente
Massimo Merighi e Tony Troja"
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