lunedì 18 giugno 2012

Marco Travaglio a Grillo: un'intervista degna di un Capo di Stato

Benvenuti nel magnifico mondo di Beppe, oggi raccontato - con la consueta bravura - da Marco Travaglio sul Fatto, con un’intervista degna di un Capo di Stato

(di Andrea Carugati - l'Unità)

Travaglio-grilloEccolo qui, l’homo novus della politica italiana, chiuso nella sua villa bianca con vista sul mare, seduto al pianoforte, mentre suona e canticchia su “una base vagamente jazz”. Riunito con gli affetti più cari, dai figli al fratello, apre le porte al vicedirettore del Fatto e descrive compiaciuto, con un cinismo che fa rabbrividire, non il tramonto di una classe politica, ma quello della democrazia parlamentare.

Non manca il consueto abuso di metafore mortuarie, gli zombies, i partiti che si liquefanno, la catarsi distruttiva che non investe questo o quel partito, e neppure una fetta trasversale di classe dirigente, ma il concetto stesso di democrazia rappresentativa, le istituzioni, il partito come comunità di idee e di interessi, con una sua organizzazione democratica.  ”Non voglio sentir parlare di strutture”, taglia corto il comico genovese. “Se ti sviluppi in verticale diventi un partito”. E l’eretico Tavolazzi, da voi espulso? “Onesto, ma parla troppo di strutture e votazioni, ha la testa a forma di partito. Per questo gli abbiamo tolto il simbolo…”.

Le metafore mortuarie abbondano, dunque, ma non ce ne sarebbe neppure bisogno. Perché tutto il discorso è intriso di un senso di morte, di distruzione fine a se stessa, da una clamorosa assenza di prospettiva, di speranza. Altro che “rigor montis”.  C’è nel Grillo che emerge dalle pagine del Fatto qualcosa che va persino oltre il populismo del Berlusconi 1994. Lì almeno c’era un nuovo leader potenziale, che scendeva in campo in prima persona,  che tentava (e ci riuscì) di rappresentare un pezzo d’Italia, bella o brutta qui non importa: un’Italia inofferente alle regole, anarcoide, individualista. Ma comunque un pezzo ben identificabile di Paese. C’era una proposta, un metterci la faccia, per quanto sgradevole,  e, per quanto bugiarda e coperta di cerone, una speranza.

Qui no. C’è un ricco signore, una volta comico di successo, che dalla sua villa muove le pedine dei suoi attori volutamente qualunque, ben intenzionato a restare fuori da qualunque responsabilità,  dopo aver travolto il sistema politico. Le sue ricette non fanno pensare ad una democrazia più efficiente, più rappresentativa, ma ad una anarchia intrisa di disprezzo e priva di speranza.
Grillo indica i suoi futuri rappresentanti in Parlamento con la stessa sgarbata distanza con cui l’aristocrazia milanese spedì la servitù alla Scala dove era ospite l’imperatore austriaco.  Per sfregio all’imperatore, non perchè quei servi avessero una reale possibilità di cambiare il proprio status con quella sceneggiata.

Non c’è traccia, tanto per capirci, neppure del vitalismo violento dei futuristi,  nessuno sguardo rivolto al futuro. E neppure la passione dell’anarchico della Locomotiva di Guccini, che si lanciava a bomba contro l’”ingiustizia” rappresentata da “un treno pieno di signori” vestiti di velluto e pieni di ori.
Non c’è, dunque, la legittima indignazione dei ceti subordinati che lottano contro i privilegi, ma un miliardario annoiato, teleguidato da un guru di Internet dedito all’orto che vagheggia sul suo sito nuove guerre mondiali (Gianroberto Casaleggio), che si compiace e lucra politicamente sulla più grave crisi politica e sociale degli ultimi sessant’anni.

Certo, dice lui, “il nostro successo ha evitato l’avanzata dei neonazisti come invece è successo in Grecia”. Ma, fatte le debite proporzioni, il Grillo che pontifica dal suo Nido dell’Aquila in salsa genovese è egualmente sinistro ed inquietante per chi ha a cuore la tenuta delle istituzioni e della democrazia rappresentativa di tipo europeo. Inquietante non tanto per la volontà di pulizia, per la legittima indignazione morale, per la comprensibile sfiducia nella classe politica attuale e l’altrettanto comprensibile voglia di un cambiamento radicale del personale politico.  Quanto per l’assenza di un’idea di futuro, per l’intolleranza verso il dissenso, per l’allergia a qualunque organizzazione democratica del consenso e per le istituzioni, come dimostra l’insopprimibile voglia di Grillo, una volta vinte le elezioni, di salire al Colle per fare uno sberleffo a Napolitano. “Stavolta l’hai sentito il boom?”

Complimenti a Travaglio, dunque. Nelle sue due paginate ha fatto più di un’intervista, ma un ritratto antropologico, una vera e propria fenomenologia del grillismo. Che probabilmente a lui piace, forse perché ne condivide l’intimo pessimismo verso lo spazio pubblico, la profonda convinzione che ci sia poco o nulla da salvare. L’intima convinzione che “tutti sono uguali, tutti rubano alla stessa maniera”. Ma, come cantava De Gregori, “è solo un modo per convincerti a restare chiuso dentro casa, quando viene la sera…”. 

(Andrea Carugati)

Caro Andrea,
"a lui piace" senza probabilmente, come testimoniano le immancabili presenze (di pesona o sui media) di Travaglio alle maggiori pagliacciate grillesche (dal vaffanculo-day a tutto il resto; dalla presenza continua di Travaglio sul blog di Grillo); dal continuo, dissennato consenso del Fatto a questo ex comico imbolsito. Chiedere a Luca Telese perchè è andato via dal Fatto.  Forse a Marco piace, perchè dice le parole dissennate e sboccate che Travaglio non ha potuto né dire, né scrivere, quando ha iniziato il mestiere (evito di proposito la parola "professione") di giornalista, in testate da azione cattolica, in compagnia di gracchianti boy-scouts come Mario Giordano. 

Grillo - alla soglia della terza età, è per Travaglio ciò che Travaglio non ha avuto il coraggio di essere da giovane: uno sboccato clown dalla cui bocca escono parole non filtrate dal cervello. Grillo lo hanno costruito loro, i Travaglio, i Flores d'Arcais, i Di Pietro, i Santoro, e tutta la banda dei parolai d'assalto in servizio permanente effettivo.

Tafanus

P.S.: è appena il caso di ricordare che il "monologhista" Grillo - che ha rifiutato ad Alessandro Gilioli un'intervista prima promessa e poi negata, non ha avuto le stesse remore nei confronti di Marco Travaglio, sicuro che sarebbe stato trattato coi guanti bianchi dal "BrunoVespo" del grillismo. Vedi la storia narrata da Gilioli su "Piovono Rane"